venerdì 8 dicembre 2023

Intervista a Michela Buonagura, 1° Premio Sezione Racconto al XVIII Premio letterario NCC



a cura di Assunta Spedicato

Michela Buonagura, il suo nome non ci è nuovo. Anche qui, come nella precedente intervista, ritroviamo un’autrice già premiata in due delle passate edizioni del Premio letterario, in quanto distintasi per contenuti e stile narrativo.

In “Voglio di più”, il racconto vincitore del Primo Premio nell’edizione appena conclusa, lei torna a regalarci una storia declinata al passato che mette al centro una figura femminile umile per condizione ma al tempo stesso potente nello spirito. Sembra quasi che lei, attraverso la scrittura, voglia ridare credito a quell’immagine di donna a lungo sminuita dalle convenzioni. Se è così, da quale episodio o momento della sua vita è scaturita dirompente questa sua premura? Si racconti.

- La figura femminile che in un modo o nell’altro lotta per riscattarsi è ricorrente nei miei scritti, sia in prosa che in versi. Nasce da un vissuto politico che affonda le radici nella mia gioventù, che mi ha vista sempre impegnata nella lotta per la conquista e la difesa dei diritti delle donne, contro le discriminazioni di genere che purtroppo persistono, fissate in modi di dire e stereotipi diffusi da tanta pubblicità, e finanche nelle opere artistiche. Sono storie che aspirano alla quotidianità, al vero, che narro cercando di immedesimarmi nel vissuto delle protagoniste, seguendone la parabola del cambiamento e della crescita.


Di recente ha dato alla luce una raccolta di racconti dal titolo “Conto i passi” – Storie di disamore. Chi sono le protagoniste dei suoi racconti? Ci parli della sua creatura.

- Il mio libro Conto i passi rappresenta un punto di partenza, ma anche di sintesi di un'esperienza più che decennale, che mi ha vista impegnata, attraverso eventi, convegni, flash mob contro il fenomeno della violenza sulle donne. Infatti il titolo Conto i passi nasce da un testo poetico presente nella raccolta Viaggiamo fuori rotta, pubblicato qualche anno fa, e ha per sottotitolo Storie di disamore, col fine di denunciare quello che molto spesso, più di quanto si creda, viene chiamato amore, ma ne è in realtà la sua falsificazione. Ma nasce anche da un episodio specifico che rappresenta l’eccezionalità nella prossimità. Accadono fatti atroci che ascoltiamo in televisione, leggiamo sui giornali, proviamo orrore, pena, poi ce ne dimentichiamo. Pensiamo sempre che possa accadere altrove, che possa accadere agli altri, come se gli altri fossero esseri senza fisicità, non li mettiamo a fuoco, sono indistinti. Poi succede nel tuo paese o in un paese vicino. Ne resti sconvolta. Senti la necessità di capire, di coglierne il senso, se c’è un senso. La scrittura ti apre la porta, ti permette di entrare in empatia con i sentimenti degli altri, di soffermarti sulle parole, sui gesti, sui pensieri. Su queste pagine ho attraversato le vite di donne martoriate, mogli, madri, figlie. Ho accompagnato lungo un percorso doloroso bambine violate, ragazze tradite, ferite nella loro ingenuità e fiducia verso gli uomini. Dalla lettura dei 29 monologhi viene fuori una fragile psicologia femminile, fatta di insicurezze, di disistima di sé, di ingenua spavalderia, di un amore incondizionato che porta alcune donne all’annullamento e altre a dimostrare tutto il coraggio di cui sono capaci nel riprendere in mano la loro vita.
Attraverso il racconto delle loro esperienze, si definisce una casistica della violenza di genere, legata ad ambienti e contesti disparati, in cui il maltrattamento e la coercizione appaiono come disvalori trasversali di uomini che non hanno più nulla di umano. Quindi, parlo anche di uomini, non solo di donne. Si parla sempre delle vittime, poco dei carnefici. E invece bisogna mostrarne i volti, dire i loro nomi più delle vittime, il fenomeno andava esplorato anche da questo lato. La violenza di genere è strettamente connessa alla cultura patriarcale, viene esercitata da uomini dalla mentalità maschilista, uomini normali, come ne conosciamo tanti, che non vogliono essere detronizzati, che considerano la donna un oggetto di loro proprietà, vogliono deciderne la vita e quando questo non è possibile, usano la violenza in tutti i modi possibili e con tutti i mezzi. Sono fidanzati, mariti, compagni, o semplicemente degli sconosciuti. Sono maschi che compiono delitti efferati perché incapaci di accettare un no, è finita, non ti amo più. Maschi convinti che la donna vada gestita come una proprietà personale, possesso. Pervasi dalla becera idea che la compagna sia un bell’oggetto da esibire, a volte per status, riflesso di un modo di pensare che non ha nulla a che vedere con l’essere uomo. Nel mio libro gli aguzzini si esprimono con un linguaggio maschio che cerca consenso, giustifica l’azione commessa, utilizza stereotipi che appartengono a una visione maschiocentrica dei rapporti umani, ottusi e brutali nell'affermazione della loro virilità, capaci di feroci menzogne pur di prevaricare e dominare. Urgeva sottolineare, affinché fosse messa in luce la necessità di agire su questo modo di pensare e di comportarsi. Non è stato facile penetrare anche nella profondità di queste nature fredde e volgari, strapparne le viscere, svelarne gli inganni, ma credo che l'opera di un'artista debba avere uno sguardo sul mondo lucido e a volte spietato, uno sguardo che non ha paura, che non si offusca, che non indugia nella commiserazione. L'opera di un'artista non deve aspettarsi il consenso facile, l'accettazione incondizionata, deve essere disturbante, urlare in faccia il torto, il male che si annida nella quotidianità di una stanza apparentemente calda e accogliente, dai colori vivaci e accesi, magari di un rosso brillante e di materia grigia. I monologhi esprimono una varietà di sentimenti con parole amare, sussurri, singhiozzi, urla disperate che si levano dolenti come da un inferno dantesco. E per farlo utilizzo tecniche narrative non facili, a partire dal monologo interiore e il flusso di coscienza, imponendo alla materia un senso di straniamento.


Al termine di una gratificante carriera come docente di Lettere, in che modo ha riorganizzato il suo tempo?

- Seneca, nel suo trattato "De Brevitate Vitae", sosteneva che un giovane che avesse condotto la propria vita con virtù avrebbe vissuto appieno, a differenza di un anziano abituato al lusso. Personalmente, non ho dovuto riorganizzare la mia vita, poiché ho sempre vissuto immersa nella letteratura, nella scrittura e nei rapporti umani. Nonostante la conclusione della mia carriera di insegnante, continuo a coltivare preziosi legami educativi. Partecipo a convegni, eventi, contribuisco alla progettazione e realizzazione di progetti nell’associazione Gruppo Archeologico Terra di Palma, nel quale sono anche responsabile della biblioteca.


Il ruolo di educatore richiede una prontezza nel dare e nel ricevere. Quanto le manca la scuola? 

- La scuola mi manca per la gioia di contribuire alla formazione e per i legami significativi con gli studenti, ma fortunatamente con tanti il rapporto continua. Mi parlano dei loro sogni, delle difficoltà, dei successi universitari. In questo dare e avere ricevo tanta ricchezza, sono giovane insieme a loro, non resto indietro. Mi reputo fortunata.



Se seduti ai banchi di fronte a lei ci fossero i ragazzi degli anni ’80, quale argomento tratterebbe per loro?

- Se mi trovassi di fronte ai ragazzi degli anni '80, affronterei gli stereotipi di genere radicati in quel periodo, incoraggiando una mentalità più inclusiva e consapevole. La discussione mirerebbe a sensibilizzare sulla necessità di promuovere l'uguaglianza di genere, contribuendo così a plasmare una società più equa e rispettosa. Ma più che ai giovani degli anni ’80, preferirei parlare ancora ai giovani del nostro tempo, che vedo più difficile e complicato. I giovani degli anni ’80 conoscevano la lotta attiva, reale, da esprimere nelle piazze, il dibattito e il confronto nei collettivi, oggi la protesta contro i mali della società sembra esaurirsi dietro una tastiera, spesso vissuta in solitudine, in un tempo svalutato, che passa inesorabile lasciando poche tracce concrete e costruttive. Rispetto ai giovani del passato quelli odierni hanno tante opportunità, possibilità di conoscenza, alcuni sono preparatissimi, tanti vivono in solitudine, dipendenti dai nuovi media.


C’è un sogno relegato in fondo al cassetto che segretamente aspira a realizzare?

- Sì, vorrei completare il romanzo che ho avviato, ma i tanti impegni me ne allontanano. Spero di farcela.

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