Recensioni

Nota per silloge

Assunta Spedicato: “Strade al mare” – Ed. Centro culturale l’Ortica – 2025v- pag. 36 – s.i.p.
Premio “Sandra Mazzini”, l’agile volumetto offre con corpose composizioni che interpretano, quasi tutte col verso lungo oltre l’endecasillabo, le quotidiane ricerche di una custodia ricca di fermentazioni e di immaginazioni. Uno scorrere rapido ed attento di visioni e di meditazioni attraverso la difficile propulsione degli accadimenti, che gestiscono occultamente l’alternarsi delle scelte e delle illusioni.
Scorrendo le motivazioni del premio possiamo sottolineare “la crudezza del tempo che passa e che non fa sconti nemmeno all’amore, così come la difficile verità per la quale è inutile rincorrere l’amore di un altro se per primi non impariamo ad amarci”. “Le immagini, evocative e delicate, si susseguono preziose e ricercate, senza mai diventare retoriche, e restano nitide nell’animo del lettore”. Un continuo alternarsi del dialogo che puntella il giudizio indagatore, e sulla strada della preghiera “c’è un momento dopo il gesto insensato/ un frammento in cui il tempo sembra sospeso/ e il respiro impegna il pensiero/ che si vede e si vuole congelato in un sogno.” Passaggi deliziosamente pungenti nella fragranza di un succinto sorriso o nelle allusioni più volte accennate, “forse immagini che ustionano occhi di cera”.br /> Il mare di Assunta Spedicato è proprio l’immenso scrigno dentro il quale immergere le evoluzioni dell’inconscio e del sub conscio, che come le onde lievi o violente ci accompagnano in ogni luminosità delle riflessioni, tracciando quelle pennellate ispirate alle visoni purpuree, alle remote impronte, alle intime vestigia, al naturale percorso dell’immaginazione e della fecondità. E’ così che ricama il tessuto che lega la parola: “Se fosse solo l’orlo di un abito sdrucito/ t’inviterei con ago e filo a riparare col cucito/ e ce ne andremmo a conoscere la stoffa/ concilianti come trama nell’ordito/….ma siamo solo gocce cadute nell’imbuto,/ non si cercava il mare, invece qui/ si è spinti a traboccare. E mentre il peggio accade/ il cielo si fa muto e non lascia evaporare.”
Il tu colloquiale ristabilisce armonie nel moltiplicarsi di sfavillii che rendono il dettato quasi informale, quasi intenzionalmente interrogativo, giocando spesso con il trucco del reale che riemerge come impasto appetibile della genuina consuetudine.
Implora, come impercettibile preghiera, l’azzurro delle acque che rotola via nell’attimo, le nostalgie che ingaggiano i ritorni, le cattedrali inghirlandate e adagiate sul mare, le note di primavera tra l’esordio delle rondini, abbandonare le serre che coltivano rimpianti.
La parola regge il lampeggio e nel contempo è il prodotto libero del significante, agisce tramite i concetti assemblati dalla scrittura ed è il vettore tangente sulla sfera dell’indicibile. Il recupero della memoria diventa metafora che snoda le impronte personali.

ANTONIO SPAGNUOLO

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Nota per Silloge

Come la luna

pubblicata sulla rivista "Dialettica tra culture" di giugno

Questa piccola silloge poetica – una plaquette di circa una quindicina di testi ma molto corposi, “Come la luna” di Assunta Spedicato è uscita quale supplemento al numero di settembre – dicembre 2023 della “Rivista Letteraria” di Casamicciola Terme diretta da Giuseppe Amalfitano. La pubblicazione è dovuta al fatto che l’Autrice è la vincitrice del primo Premio della ventottesima edizione del prestigioso “Concorso di Poesia Maria Francesca Iacono” promosso dalla Rivista stessa. Sì, questo Concorso gratuito, non dotato di grandi premi, si avvale di una giuria molto qualificata che è garanzia di qualità. Ecco, quindi, che una nuova voce poetica fresca e innovatrice, si fa strada nel vasto panorama della letteratura italiana.

La Poesia di Assunta Spedicato si snoda quasi tutta sul registro dell’intimismo, non fine a se stesso ma come misura di quanto l’io medesimo riesca a capirsi, a penetrare a fondo dentro le proprie emozioni e di conseguenza a gestirle e a sopravvivere a quelle che lo turbano di più. C’è questo insistito domandarsi sul come e il perché degli accadimenti quotidiani nel loro evolversi spesso in contrasto con i propri desideri. La matrice di tutto questo tormento interiore, che cerca nella parola il rimedio ai propri conflitti, è il figlio, un figlio che sta prendendo il volo ed è pronto a staccarsi dalla madre piena di timori per quello che il giovane dovrà affrontare. L’argomento non è nuovo, nuova invece è la forma con cui l’autrice lo affronta presentandoci le sue angosce, con sincerità, senza paura di risultare ossessiva nella ripetizione dei suoi timori talvolta ingigantiti nel riandare a un passato dai risultati non troppo gratificanti. Sostiene il dettato un delicatissimo intreccio di immagini suggestive a supporto di un dialogare fitto in cui l’altro è presenza-assenza, una voce che acquisterà timbro soltanto nel distacco.

Riporto qui i versi conclusivi della poesia “Come la luna” che è quella premiata e che dà il titolo alla raccolta:

“Chiudo gli occhi per posare

gli orizzonti sul cuscino, dormire

sul progetto accantonato. Per me

che m’accontento di saperti in orbita felice

è lecito sognare ad ogni tua comparsa

e brillare di riflesso, come la luna.”

 

E con questa immagine rasserenante, nel capovolgimento dei ruoli, il figlio divenuto astro che brilla di luce propria, si conclude questo delicatissimo inno all’amore materno.

 

Carla Baroni



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Nota per silloge

Ubriaco di vita i miei giorni


a cura di Isabella Panfido

Scrivere per dare un senso alle cose, per dare valore al singolo istante del giorno, perché niente vada perduto, né dimenticato. 
Scrivere per salvare l'attimo dalla corrosione del Tempo, che tutto sconcia e devasta: così Shakespeare nel suo Canzoniere giustificava la necessità dei suoi mirabili sonetti. 
Questa è il vero miracolo della scrittura, in generale, e in particolare della scrittura poetica che, per sua natura, dovrebbe rifiutare il superfluo e scavare nella polpa delle parole per estrarne l'essenza, il minimo materiale necessario per il massimo significato possibile.

Chi scrive versi sceglie questa modalità espressiva, in genere, perché crede che la poesia attenga alla sfera delle emozioni più della prosa. Tutto da dimostrare. Una cosa è certa: in poesia la finzione torna sempre a galla, non si può barare. I falsi poeti non sono quelli che scrivono brutti versi – e ce ne sono!- ma quelli che scrivono simulando emozioni – e di questi ce n'è anche di più. Umberto Saba distingueva la poesia onesta – quella delle parole attinenti al vero vissuto che sono spesso 'impoetiche' - dalla poesia disonesta – quella scritta per la scrittura, fine a se stessa, in cui la vita c'entra assai poco. E quest'ultima scrittura – che non merita il termine di poesia – suona falsa come un cristallo fesso alle orecchie di chi frequenta la poesia onesta, ma si mostra invece, è qui sta il peggio, assai 'poetica', cioè mediocre concentrato di banalità, ad un lettore inesperto, diciamo di superficie. Il risultato è un danno diffuso, una compromissione del gusto comune, una melassa intollerabile etichettata come 'poetica'. 

C'è da credere che molti versi della silloge di Assunta Spedicato Ubriaco di vita i miei giorni appartengano alla esperienza 'in corpore vili' dell'autrice, se ogni passaggio retorico è stato filtrato dalla vita vera, se ogni metafora si riferisce a una reale esperienza esistenziale, se ogni elemento di ogni verso è irrinunciabile e insostituibile – perchè questo significa scrivere poesia: usare il minimo possibile, lavorando di pialla o di lima, eliminando il superfluo, il 'poetico' tout court, per costruire un'immagine al netto di ogni orpello. 

Nella breve raccolta di Spedicato le composizioni poetiche sono raggruppate secondo la scansione delle stagioni, con percepibili varianti atmosferiche corrispondenti a sfumature esistenziali. 
In molti di questi versi ricorrono nuclei tematici ripetuti, ispirati al mare, al cielo, alla natura, verosimilmente metafore del sentire dell'autrice, sequenze di immagini incatenate l'una all'altra più dal suono che dal senso – ma scrivere poesie significa anche, non solo, ma anche, farsi portare dall'effetto fonico ritmico. E a proposito del ritmo per Assunta Spedicato, mi sembra evidente la discrasia tra la tendenza grafica al verso breve e il respiro espressivo più lungo, come un affanno della mano che vorrebbe frazionare il pensiero, nell'ansia del dire. 

Tra le caratteristiche della scrittura poetica di Assunta Spedicato mi è parso di imbattermi in non infrequenti libertà sintattiche che giocano sul limite estremo del senso, a volte compromettendo - certo deliberatamente – il significato semantico per il piacere della rima, come ben espresso dal poeta stesso in Parole per la pelle: 

“ Se potessi lacerare / la pelle alle parole / ai giri sviscerare / il senso del non detto...”, 

come se la parola poetica potesse riscattare, nelle sua integrità, la verità taciuta dalle parole quotidiane. Ma per ottenere questo scopo nei versi della Spedicato anche la parola poetica subisce torsioni, slogature, manipolazioni, assolutamente originali; un esempio tra tanti : 

“ringrazio persino io/per tutto il sale/che ci metto/a improvvisare l'esca” 

dove quel 'io' non è soggetto ma complemento oggetto, cioè 'me', slogato appunto al nominativo per consonanza con 'Dio' in finale di verso, poche righe più sopra. 

L'orizzonte emotivo della silloge è tutto raccolto attorno a un io lirico fortemente evidenziato, nel variare ciclico di picchi e abissi, raffigurati frequentemente con metafore metereologiche o marine, ambienti di riferimento anche – e coerentemente - per la sorgente lessicale: 

“l'arbitrio che spazza via / il senso ai fragili equilibri / addensati in forza di strati.” in Mai a caso 

oppure 

“Piuttosto / che alle contrazioni dei nembi,/ talvolta vorrei aspirare / alla sobria regolarità / dei cerchi concentrici...” in Talvolta, 

testo nel quale emerge contemporaneamente anche un altro topos dell'orizzonte lirico di Spedicato: il fardello della coscienza, il peso dell'anima, la fatica della consapevolezza: 

“ma resto / incapace di disincagliare l'anima / dalla boa instabile / della malinconia.//” ancora in Talvolta come in Tra male e mare 

“sento stringere le maglie / d'essere un pesce / dato in pasto alla marea / e incagliata in tale rada...”. 

Il carico dell'essere nel mondo si fa colata di cemento, insostenibile, ma nella grazia fragile di un tempo frantumato e impalpabile, nella dimensione del sogno è ancora possibile una tregua:

“...Così mi spendo / in passi da allineare ai voli, con la sabbia in tasca per zavorra. / Ho così poca rabbia, da perderla per strada.” in Di tutto questo cancro.

Una leggerezza salvifica che, al di là della effimera natura dei sogni, solo la parola poetica è in grado di conferire: 

“...oriento l'orecchio all'universo / per imboccare una scia / che mi faccia gravitare, per ore / ed anche giorni, attorno a un solo verso” in In danza per la pioggia. 

Isabella Panfido

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