Recensioni

Nota per silloge

Ubriaco di vita i miei giorni


a cura di Isabella Panfido

Scrivere per dare un senso alle cose, per dare valore al singolo istante del giorno, perché niente vada perduto, né dimenticato. 
Scrivere per salvare l'attimo dalla corrosione del Tempo, che tutto sconcia e devasta: così Shakespeare nel suo Canzoniere giustificava la necessità dei suoi mirabili sonetti. 
Questa è il vero miracolo della scrittura, in generale, e in particolare della scrittura poetica che, per sua natura, dovrebbe rifiutare il superfluo e scavare nella polpa delle parole per estrarne l'essenza, il minimo materiale necessario per il massimo significato possibile.

Chi scrive versi sceglie questa modalità espressiva, in genere, perché crede che la poesia attenga alla sfera delle emozioni più della prosa. Tutto da dimostrare. Una cosa è certa: in poesia la finzione torna sempre a galla, non si può barare. I falsi poeti non sono quelli che scrivono brutti versi – e ce ne sono!- ma quelli che scrivono simulando emozioni – e di questi ce n'è anche di più. Umberto Saba distingueva la poesia onesta – quella delle parole attinenti al vero vissuto che sono spesso 'impoetiche' - dalla poesia disonesta – quella scritta per la scrittura, fine a se stessa, in cui la vita c'entra assai poco. E quest'ultima scrittura – che non merita il termine di poesia – suona falsa come un cristallo fesso alle orecchie di chi frequenta la poesia onesta, ma si mostra invece, è qui sta il peggio, assai 'poetica', cioè mediocre concentrato di banalità, ad un lettore inesperto, diciamo di superficie. Il risultato è un danno diffuso, una compromissione del gusto comune, una melassa intollerabile etichettata come 'poetica'. 

C'è da credere che molti versi della silloge di Assunta Spedicato Ubriaco di vita i miei giorni appartengano alla esperienza 'in corpore vili' dell'autrice, se ogni passaggio retorico è stato filtrato dalla vita vera, se ogni metafora si riferisce a una reale esperienza esistenziale, se ogni elemento di ogni verso è irrinunciabile e insostituibile – perchè questo significa scrivere poesia: usare il minimo possibile, lavorando di pialla o di lima, eliminando il superfluo, il 'poetico' tout court, per costruire un'immagine al netto di ogni orpello. 

Nella breve raccolta di Spedicato le composizioni poetiche sono raggruppate secondo la scansione delle stagioni, con percepibili varianti atmosferiche corrispondenti a sfumature esistenziali. 
In molti di questi versi ricorrono nuclei tematici ripetuti, ispirati al mare, al cielo, alla natura, verosimilmente metafore del sentire dell'autrice, sequenze di immagini incatenate l'una all'altra più dal suono che dal senso – ma scrivere poesie significa anche, non solo, ma anche, farsi portare dall'effetto fonico ritmico. E a proposito del ritmo per Assunta Spedicato, mi sembra evidente la discrasia tra la tendenza grafica al verso breve e il respiro espressivo più lungo, come un affanno della mano che vorrebbe frazionare il pensiero, nell'ansia del dire. 

Tra le caratteristiche della scrittura poetica di Assunta Spedicato mi è parso di imbattermi in non infrequenti libertà sintattiche che giocano sul limite estremo del senso, a volte compromettendo - certo deliberatamente – il significato semantico per il piacere della rima, come ben espresso dal poeta stesso in Parole per la pelle: 

“ Se potessi lacerare / la pelle alle parole / ai giri sviscerare / il senso del non detto...”, 

come se la parola poetica potesse riscattare, nelle sua integrità, la verità taciuta dalle parole quotidiane. Ma per ottenere questo scopo nei versi della Spedicato anche la parola poetica subisce torsioni, slogature, manipolazioni, assolutamente originali; un esempio tra tanti : 

“ringrazio persino io/per tutto il sale/che ci metto/a improvvisare l'esca” 

dove quel 'io' non è soggetto ma complemento oggetto, cioè 'me', slogato appunto al nominativo per consonanza con 'Dio' in finale di verso, poche righe più sopra. 

L'orizzonte emotivo della silloge è tutto raccolto attorno a un io lirico fortemente evidenziato, nel variare ciclico di picchi e abissi, raffigurati frequentemente con metafore metereologiche o marine, ambienti di riferimento anche – e coerentemente - per la sorgente lessicale: 

“l'arbitrio che spazza via / il senso ai fragili equilibri / addensati in forza di strati.” in Mai a caso 

oppure 

“Piuttosto / che alle contrazioni dei nembi,/ talvolta vorrei aspirare / alla sobria regolarità / dei cerchi concentrici...” in Talvolta, 

testo nel quale emerge contemporaneamente anche un altro topos dell'orizzonte lirico di Spedicato: il fardello della coscienza, il peso dell'anima, la fatica della consapevolezza: 

“ma resto / incapace di disincagliare l'anima / dalla boa instabile / della malinconia.//” ancora in Talvolta come in Tra male e mare 

“sento stringere le maglie / d'essere un pesce / dato in pasto alla marea / e incagliata in tale rada...”. 

Il carico dell'essere nel mondo si fa colata di cemento, insostenibile, ma nella grazia fragile di un tempo frantumato e impalpabile, nella dimensione del sogno è ancora possibile una tregua:

“...Così mi spendo / in passi da allineare ai voli, con la sabbia in tasca per zavorra. / Ho così poca rabbia, da perderla per strada.” in Di tutto questo cancro.

Una leggerezza salvifica che, al di là della effimera natura dei sogni, solo la parola poetica è in grado di conferire: 

“...oriento l'orecchio all'universo / per imboccare una scia / che mi faccia gravitare, per ore / ed anche giorni, attorno a un solo verso” in In danza per la pioggia. 

Isabella Panfido

Nessun commento:

Posta un commento