venerdì 23 ottobre 2020
"Il complotto delle donne di Maometto" di Hafez Haidar
sabato 17 ottobre 2020
Intervista a Giuseppe Raineri vincitore per il secondo anno consecutivo del I° Premio Monologo Teatrale.
Monologo vincitore del I° Premio
Mare Nostrum
Mare nostrum quod es inter terras
Molti e diversi sono i miei nomi.
Le genti che abitano le mie sponde, da
sempre credono di avermi generato dandomi un nome, tuttavia io ero, sono e sarò
e nessuno potrà mai arrogarsi diritti che non ha, né gli riconosco.
Anche un figlio “è” e vive libero col nome
dato da altri, ma nessuno mi è stato padre.
Conservo le memorie e ciò che resta di chi
per imperizia, per sprezzo del pericolo, per ingordigia, per paura, per
disperazione ha troppo osato.
Eroi e pavidi, esploratori e pigri, vecchi
e giovani, maschi e femmine, uomini e dei, re e schiavi per me non fanno alcuna
differenza, tratto tutti alla pari, io sono come la morte e non ho riguardo per
nessuno.
Sempre sarò culla e sepolcro.
Le mie acque hanno raccolto sangue e
lacrime di gioia e di dolore.
Sulle mie rive ho visto nascere e morire
religioni, monarchie e repubbliche, dittature e democrazie, santi e diavoli, malvagità
e bellezza, città e villaggi in un turbine di trasformazioni senza fine.
Sono testimone dei destini di nazioni che
si credevano indistruttibili, convinte di poter sfidare impunemente l’eternità
e di quelle che, pur lontane, hanno subito l’influsso di idee e costumi nati
qui.
Tutto il pianeta ha dovuto fare i conti
con quello che è successo intorno a me.
Mai nessun altro mare ha sentito risuonare
tanti idiomi diversi.
Ho fatto miei i frutti, gli alberi e
colture venute da lontano, come se da sempre mi appartenessero.
Le terre che mi circondano in un dolce abbraccio
materno sono invece agitate come io lo sono e hanno trasmesso questa
inquietudine ai popoli che le abitano e che hanno dovuto lottare senza requie
per rubare lembi di terra alle acque, sanare paludi, fronteggiare maree e le
onde che sanno essere carezza e schiaffo.
Basta poco perché tutto torni selvaggio
come prima.
Sono come il deserto, ci accomuna il
silenzio, il vento, l’insidia di rimanerne prigionieri.
Da nobis vitam et scientiam
Le giuste distanze vi hanno garantito
autonomia e possibilità di scambi continui in una eterna lotta tra nomadi e
sedentari.
Avete solcato le mie onde e come moto
ondoso vi siete spinti in avanti e poi ritirati secondo cicli mai interrotti.
Grazie a me, quello che è giunto fino alle
mie rive, seguendo percorsi lunghi e faticosi, ha infine trovato rapidi sbocchi
ovunque, per diventare patrimonio di molti.
Da sempre sono terreno fertile di
migrazioni per fame di conquista, per disperazione.
Due simboli tra i tanti bastino a ricordarmi.
Venezia, città impossibile e splendida che
poggia maestosa su una foresta sommersa e lotta con caparbia tenacia contro
acqua e tempo, pur fuori dal tempo.
E infine tu Ulisse, il figlio amato,
affamato di avventura e di conoscenza a cui non hai esitato sacrificare le vite
dei compagni e mettere a repentaglio la tua, tu che hai avuto l’ardire di
sfidarmi quando gli uomini credevano che divinità capricciose mi abitassero, tu
che su questo mare potevi vantare pretese da re dopo essere sopravvissuto a
prove durissime e sfidato le mie inquietudini, tu non sei riuscito a domare la
tua curiosità insaziabile e nemmeno io ti sono bastato, né le braccia pazienti e
calde della fedele Penelope.
Da
nobis pacem
Che ne sarà di me, di voi, di noi, di
questo piccolo mondo, dell’universo intero?
Al calar della sera mi invade una
malinconia densa e scura e mentre il sole s’immerge nelle mie acque e
l’oscurità della notte vince sulla luce, io divento cielo e il cielo mare.
Comprendo la vertigine di chi si lascia ammaliare
e sente di essere finalmente parte del tutto mentre la bramosia di prevalere,
di possedere, l’arroganza e l’illusione di sentirsi onnipotenti si liquefano e
si stemperano.
È un po’ come morire a poco a poco.
Le mie onde accarezzino le vostre terre e vi
cullino con un moto lieve, che io sia talamo e le stelle tetto, non pensate con
ansia al domani, non permettete all’angoscia di invadere il cuore e la mente.
Abbandonatevi ai sogni, lasciateli librare
come gabbiani che veleggiano sulle mie acque, siate lieti.
Amen.
Motivazione della Giuria
Se la Terra è da sempre
considerata la madre dell’umanità, al Mar Mediterraneo si deve riconoscere il
ruolo di padre della civiltà. E il Mediterraneo, che in questo senso può
considerarsi il padre di tutti i “Mari”, umanizzato dall’autore, diviene voce
di una profonda preghiera, un “Padre Nostro” laico, qui presentato sottoforma
di monologo.
Come fosse davvero padre, gli
vengono attribuite doti di autorevolezza e imparzialità. La sua è presenza
costante: dispensatrice di ricchezze, autrice di mediazioni. Come un padre, nel
bene e nel male, mai si risparmia, a costo anche di sacrificare la propria
salute. Ed è qui che traspare, nella parola a lui data, una nota di rammarico
per quei figli ostinati a non seguire l’indirizzo del padre.
Ma il mare avrà comunque una vita
propria, a prescindere dalle dimenticanze dei figli e dalle loro cattive
abitudini.
Una preghiera che ha il pregio di
far intravedere un monito, pur senza cadere nelle acque della retorica.
Mare Nostrum quod es inter terras/Da nobis vitam et scientiam/Da nobis pacem/Amen.
Assunta Spedicato.
venerdì 16 ottobre 2020
“Scendevamo giù per la collina” di Gabriella Valera Gruber
Cronaca di una presentazione fuori dai canoni.
Abbiamo già avuto modo di conoscere, nell’intervista da lei rilasciata e QUI riproposta, Gabriella Valera Gruber come persona socialmente e culturalmente impegnata. Ma cosa sappiamo di lei in quanto poeta?
In realtà, Gabriella Valera Gruber è nel suo ambiente un’autrice nota ed apprezzata, tanto che, a dover parlare di lei, verrebbe soggezione a chiunque.
Eppure, nonostante l’indiscusso valore e le numerose
manifestazioni di stima, Gabriella rimane una persona umile, sempre alla
ricerca del confronto.
Cosa non è stato già detto circa la sua poesia?, in tanti ne hanno parlato approfonditamente, analizzandone tutti gli aspetti in maniera aderente al suo sentire. Così è anche per la sua ultima pubblicazione “Scendevamo giù per la collina” Battello stampatore, una raccolta di oltre 100 testi, che scopriamo valorizzata da prefazione e postfazione, entrambe molto curate ad opera di Claudia Azzola ed Enzo Santese. Ulteriore arricchimento è stato poi apportato da Ottavio Gruber, marito dell’autrice, con le sue incisioni.
Certo, nessuno si sarebbe mai aspettato di dover attraversare
un periodo così buio quanto quello attualmente vissuto, segnato dalle morti e dall’isolamento
forzato. Una circostanza che ha visto annullare tanti impegni, inclusi quegl’incontri
che la nostra autrice aveva in programma per presentare al pubblico la sua
raccolta.
Ma una personalità come la sua, tenace ed instancabile, non
poteva certo farsi sopraffare dalla contingenza, o non approfittare delle
risorse in rete per promuovere altre iniziative culturali e per portare in
qualche modo a termine quelle già in corso.
Anche gli incontri di poesia del mercoledì sono proseguiti
regolarmente grazie all’uso di una piattaforma on-line. Ed è stato in uno di
questi ultimi incontri che Gabriella Valera ha espresso il desiderio di voler
riprendere le presentazioni della sua raccolta, alternandola contemporaneamente
con quella di altro autore del gruppo.
Cosa non semplice, a dire il vero, per chi come me attende il
mercoledì per declamare i propri versi e ricevere un giudizio qualificato, se
non un consiglio utile a migliorare il proprio stile. Ma le occasioni vanno
colte, e noi, fruitori degli incontri di poesia del mercoledì, lo abbiamo
fatto. Ciascuno a suo modo: leggendo e motivando, a sorpresa, le poesie di
questa ricca raccolta. Ne è venuta fuori una singolare presentazione, sincera e
partecipata. Cosa che l’autrice ha avuto la bontà di gradire, in modo palese.
Ed ora, per la promessa fattale di riportare per iscritto le
brevi note che hanno accompagnato la lettura dei suoi versi, prendo l’iniziativa
di cominciare con la mia. Con la speranza che altri vogliano poi aggiungere
anche la loro.
Uno degli aspetti che di frequente emerge dai testi poetici
di Gabriella Valera Gruber, è la sua capacità di rappresentare la sofferenza
umana, compresa quella meno visibile, pur restando al di sopra del personale. Il
dolore, spesso evidenziato dal verso asciutto e privo di sfumature artificiose,
resta comunque morbido, aperto alla speranza, nel suo rappresentare la
condizione di fragilità dell’uomo, rispetto alle forze della natura.
Il suo è un volo paragonabile a quello del gabbiano, creatura
spesso presente nei suoi versi, capace di vivere cielo, terra e mare, un campo
visivo più ampio sul quale restare, senza mai poggiare sul terreno della
retorica: Ali ampie di gabbiano / in alto / superbe e candide /nel grigio
delle nuvole / respiro ampio mi solleva.
Ma da così profondo dolore, l’autrice sorprende col suo improvviso riemergere come essere umano bisognoso d’amore. Ed è nel suo amore per l’altro che ella trova in fine consolazione, dando così vita ad un coinvolgente equilibrio dei versi che hanno funzione conciliante, capaci di acquietare l’essere umano in preda alle proprie contraddizioni: / oggi nel cielo alto dell’estate / fra rami frondosi, / la voce degli uccelli / ha una forza che non perdona / l’anima rincantucciata / fra i problemi di sempre. // Non ho ancora risolto l’enigma. // Ma c’è un amore che mi attende / ed io per lui / ogni giorno / ritorno da lontano. / Stasera, quando ci daremo la mano, / avrò negli occhi un canto.
È facile cogliere come l’amore diventi artefice di rientri
da quel luogo lontano, dove la sensibilità del poeta vive immersa nella
dolorosa visione della realtà.
L’amore, sentimento nutrito e ricambiato, ha radici nel
profondo rispetto per l’altro, e per sé. Un bene, questo, che l’autrice apprezza
come inestimabile ricchezza. Tant’è che nell’indossare i panni di chi ne è
privo, da lei definiti i rifiutati della terra, esclama a chiusura di
una breve e profonda poesia: / chiedo perdono / di esistere così come
sono / senza un amore.
L’amore, anche, come chiave di lettura per approfondire il pensiero
della nostra autrice.
Assunta Spedicato.
Su queste rotaie metafisiche sono racchiusi il mistero e la meraviglia del suo percorso poetico, fatto d’incontri, di scambi, e di un coraggioso procedere con levità ed intento inflessibile.
lunedì 5 ottobre 2020
Premio Poesia Cantina Valpantena - VI Edizione, anno 2020
Veneto - Verona
17ª Edizione Premio Letterario Nazionale «Città di Forlì»
Emilia Romagna - Forlì (Forlì-Cesena)
Il Centro Culturale L’Ortica di Forlì - Sezione orticadonna con il patrocinio di:
Comune di Forlì, Assessorato Promozione settore culturale e museale, Università
Provincia di Forlì-Cesena
e con la collaborazione di:
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Biblioteca Comunale “A. Saffi” di Forlì
ha bandito la diciassettesima edizione del Premio Letterario Nazionale “Città di Forlì”
Elenco premiati
Sezione Poesia Inedita
2° classificato STEFANO BALDINU di S. Pietro in Casale (BO)
3° classificato LORENZO SPURIO di Jesi (AN)
Finalista DANIELA CORTESI di Forlì
Finalista RITA MINNITI di Cava dei Tirreni (SA)
Segnalati:
STEFANO DI UBALDO di Calolziocorte (LC)
ATTILIO GARDINI di Forlì
MATTEOANGELO LAURIA di Susa (TO)
DIELLA MONTI di Pievequinta (FC)
FRANCESCA PANZACCHI di S. Lazzaro di Savena (BO)
LUIGI PARABOSCHI di Castelsangiovanni (PC)
CARLOTTA RINALDINI di Cesena (FC)
DANILA ROSETTI di Forlì
ASSUNTA SPEDICATO di Corato (BA)
Il totale dei concorrenti è 232