venerdì 23 ottobre 2020

"Il complotto delle donne di Maometto" di Hafez Haidar

 Le buone letture

a cura di Assunta Spedicato.


Ci sono tavoli che si aprono a libro duplicando i posti a sedere, e permettendo così di condividere quanto si ha con più commensali. Un paragone, questo, accostabile alla scrittura di Hafez Haidar, in relazione al romanzo “Il complotto delle donne di Maometto”, edito da Di Felice Edizioni. Qui l’autore, con fare semplice e disponibile, sembra infatti invitare i propri lettori ad attingere alle sue conoscenze e ad assaporare alcuni aspetti della cultura islamica che altrimenti resterebbero a nutrire la diffidenza.

Un’apertura, quella di Haidar, che si manifesta attraverso lo sforzo di rendere stilisticamente fruibili le sue opere, pur procedendo nell’esposizione minuziosa di fatti e concetti. Un modo di essere, il suo, che non esula dall’attività di scrittore, poeta e docente di letteratura araba, e che ha saputo proporre nel tempo, tanto da valergli, nel 2017, la candidatura al Premio Nobel per la Pace.


L’autore, regia saggia ed invisibile della storia, sviluppa la trama utilizzando più volte come cardine la scena delle donne che al calar della sera si stringono intorno ad A’isha, giovane moglie di Maometto e voce assunta al ruolo di fedele portavoce nella narrazione. Sarà lei, infatti, a svelare il segno distintivo lasciato da ciascuna donna entrata a far parte della vita del Profeta. L’imput a raccontare sarà di volta in volta sollecitato dalla curiosità di altre donne, ospiti/comparse che a fine giornata si ritroveranno intorno al braciere a condividere, anche con il lettore, i riti dell’ospitalità.

Tra vassoi di datteri freschi e pagnotte di biada appena sfornate, prenderanno così vita le storie suddivise in capitoli, ciascuno dedicato ad una donna e ad un corrispettivo periodo storico, ma tutti legati alla nascita e alla diffusione della religione islamica.

A riempire lo sfondo ci sarà dunque la storia, fluidamente spiegata. Mentre in primo piano, a dividersi la scena, osserveremo il profilo pubblico e quello privato dei protagonisti. Il ciò rivela una geniale scelta narrativa, che darà talvolta l’impressione di mostrare un profilo inedito del Profeta, profilo che comunque resterà fedele alla tradizione.

A voler trovare a tutti i costi un difetto a questo delizioso romanzo, si potrebbe dire che in realtà, all’interno della trama, non c’è un vero e proprio complotto da parte delle donne di Maometto. Particolare che comunque non delude le aspettative, ma fatto sta che il termine complotto, contenuto nel titolo dell’opera, si rivela un buon espediente per solleticare la curiosità dei potenziali lettori. Una trovata, questa, da autore esperto e raffinato.


Hafez Haidar, nato in Libano, è stato candidato al Premio Nobel per la Pace 2017. Docente presso l’Università di Pavia, ha pubblicato numerosi libri e bestseller tra gli altri per Mondadori, Rizzoli, Piemme e Fabbri Editore, che gli sono valsi numerosissimi premi e riconoscimenti. Da anni diffonde l’arte della narrativa e della saggistica nelle scuole e nelle università italiane ed estere. È presidente onorario del Premio internazionale di giornalismo “Maria Grazia Cutuli”. La sua traduzione di Le mille e una notte ha suscitato l’interesse del mondo letterario. Per Imprimatur ha curato Donne che urlano senza essere ascoltate, una raccolta di scritti di Khalil Gibran (2016), con il quale ha vinto il Premio Juan Montalvo per la narrativa 2017. Tra i suoi libri ricordiamo Le donne che amavano Maometto, Il complotto delle donne di Maometto, L'ultimo profeta. Gibran nel mio cuore, Il nuovo profeta. Quando l'amore chiama seguilo. Gibran nel mio cuore, Lezioni di pace e San Francesco e il sultano. Racconti d'amore dalla Bibbia, dal Vangelo e dal Corano, La voce del profeta, Il razzismo spiegato ai giovani. Un passo oltre l'indifferenza.

sabato 17 ottobre 2020

Intervista a Giuseppe Raineri vincitore per il secondo anno consecutivo del I° Premio Monologo Teatrale.

 


Forse non tutti sanno quanto sia determinante, nello stilare le classifiche, la valutazione del Presidente di Giuria l’editore Giuseppe Laterza. A lui spetta, infatti, selezionare tra i lavori già individuati in anonimo dalla giuria di qualità, i vincitori di ogni sezione. 

Sia ben chiaro che nessuno dei giurati, tanto meno il Presidente di Giuria, riceve alcuna informazione circa gli autori. Che questi siano autori o autrici, noti o meno noti, sono solo particolari intuibili dal contenuto dei loro scritti. 

Immaginabile è la gioia di chi, come in questo caso l’autore Giuseppe Raineri, si vede consegnare durante la serata di premiazione, e per il secondo anno consecutivo, il Primo Premio. 

Inimmaginabile è invece la sorpresa dell’editore Giuseppe Laterza il quale, solo a fine serata, apprese d’aver premiato lo stile e il contenuto di un autore da lui già apprezzato nella precedente edizione del Premio. 

A Giuseppe Raineri, al quale come da regolamento riservammo a chiusura della XIV Edizione una intervista, riproposta al seguente LINK, chiediamo di raccontarci eventuali novità. Ci dica se nel frattempo ha ricevuto altri riconoscimenti, se ha ottenuto altre pubblicazioni e a cosa attualmente si sta dedicando. 

Nel periodo intercorso dalla XIV edizione, mi sono dedicato alla stesura di alcuni racconti che rappresentano un ottimo esercizio per dare forma a idee, a suggestioni che assorbo da letture e dall’osservazione del mondo che mi circonda e che potrebbero rappresentare il piccolo seme da cui sviluppare storie di maggior respiro. 

L’impegno maggiore però è stata la revisione di un romanzo che avevo già terminato; si intitola “La prima notte di quiete” in cui un’anziana professoressa di matematica estremamente razionale si dovrà confrontare con sette sogni imperniati sui sette peccati capitali. Per quanto impalpabili nella loro sostanza, i sogni le presenteranno altrettante situazioni reali e problematiche cui trovare una soluzione; ci riuscirà con l’aiuto della nipote sua ospite per un certo periodo.


Nel frattempo ho iniziato e terminato anche un altro romanzo, “Il collezionista”, un omaggio alla magia dei libri e delle biblioteche. 


Entrambi i romanzi sono inediti e spero di trovare una casa editrice che li ritenga meritevoli di pubblicazione. 

In fine hanno visto la luce la trasposizione teatrale di “Plissé”, il mio primo romanzo, sia in forma di monologo che di commedia a due voci, maschile e femminile, che interpretano più personaggi ed un ulteriore commedia incentrata sull’identità al femminile dal titolo un po’ lungo: “Nessun gineceo si addice a quelle quattro (La metà del mondo può salvare l’altra?)”. Per “Plissé” regista ed attori sono già al lavoro perché se ne possa vedere la rappresentazione su un palcoscenico.


Lo scorso anno si è presentato e ha vinto con un monologo dedicato a Ipazia d’Egitto, quest’anno, invece, ci ha proposto, come scrive Laterza nella sua nota, un mare umanizzato, rappresentando così un’altra ingiustizia nei confronti di un “grande”. Il suo è un Mare dallo sguardo paterno, che punisce e perdona, ma che in particolare si rivolge a quella prole ingrata con un monito che tra le righe svela una preghiera. Ce ne spiega il significato? 

Permettetemi una breve premessa. 

L’ispirazione che mi guida nella scrittura, si fa strada nel tempo quasi inconsapevolmente, mescolata a tante idee e sensazioni che si sovrappongono, entrano in conflitto, mi seducono anche se a prima vista sembrano slegate tra loro. 

Poi tutto si condensa e prende una forma definita per effetto di un fatto, magari un dettaglio insignificante, una considerazione all’apparenza del tutto estranea a quello che potrà maturare in seguito, una lettura, che mi inducono a concentrarmi su qualcosa di particolare che darà significato e seguito ad un preludio caotico. 

La lettura di “Breviario Mediterraneo” di Pedrag Matveievic ha rappresentato l’innesco di una deflagrazione, lo stimolo decisivo a dar voce al Mediterraneo e ad approfondirne la storia, il ruolo decisivo nelle vicende di tutto il pianeta, spingendomi poi a divorare famelicamente altri testi. 

Ciò che mi ha guidato è un sottile ma profondo rimpianto per le enormi potenzialità del genere umano troppo spesso tradite, per la bellezza dimenticata in nome di piccinerie e delle superficialità ostentate da una società troppo distratta e indifferente. 

Da qui prende spunto il ritmo di una preghiera nota, ma opportunamente rivisitata, che fa da sfondo allo sfogo di chi si sente padre, ma anche madre, la culla della civiltà. 

Padre e madre a volte sereni, a volte severi, a volte anche brutali con un inconsolabile rimpianto per quanto di bello rischia di morire per trascuratezza, per indolenza, per distrazione di chi è abbagliato, attratto da un benessere ingannevole che ci costringe a focalizzare i nostri sforzi solo su un presente che fagocita il futuro e nasconde alla nostra vista il passato. 

Ma fortunatamente rimane viva ancora la speranza di chi ha memoria.


Deve essersi davvero immedesimato in questo nostro Mare, fonte di vita. Quanto tempo le è servito per riuscirvi così bene? 

 In prima stesura, non mi riesce quasi mai una versione già definitiva. 

Scrivo di getto e poi devo avere il tempo di lasciare sedimentare quanto ho espresso di primo acchito. 

Questa versione generalmente è improponibile e necessita di revisioni continue al punto di non sentirmi mai pienamente soddisfatto. Immedesimarmi è il termine corretto per dare l’idea del processo che mi ha guidato per lunghe settimane nella scrittura del monologo. 

La parte più difficile è consistita nell’accettare la sfida di una lunghezza del testo da rispettare ma che accetto di buon grado perché mi costringe ad esprimere emozioni con una sintesi efficace, con la forza che dovrebbe avere l’essenzialità. 


Lei è nato e risiede a Bergamo, pertanto avrà ultimamente vissuto momenti drammatici. Ci perdoni questa domanda che non intende toccare i suoi sentimenti, vorremmo solo chiederle se durante il lockdown, in quei momenti così difficili, la scrittura sia riuscita a venirle incontro e, in qualche modo, a infonderle sollievo e coraggio. 

L’uso del tempo è un’arte difficile, sempre. 

Nel periodo della clausura forzata ho alternato momenti di impegno intenso ad altri in cui non riuscivo a concretizzare con efficacia idee e progetti narrativi. 

Scrivere è stato certamente di aiuto nei momenti in cui il silenzio, che sembrava l’effetto di un evento catastrofico, di una guerra batteriologica, veniva rotto solo dal rumore incessante delle sirene delle autombulanze. 

Ci sapevamo tutti vicini ma ci sentivamo tutti lontani. 

Soprattutto all’inizio di questo periodo in cui ho alternato con poco ordine lavoro a distanza, l’attenzione alla famiglia nuovamente ed insolitamente riunita, la lettura e la scrittura ho vissuto la sensazione paradossale della dispersione. 

Non considerando la gravità della situazione, mi sarei dovuto trovare in una condizione di creatività quasi ideale nell’isolamento da distrazioni, invece ho alternato momenti di rara intensità nel tradurre pensieri in parole come in una catarsi ad altri in cui mi risultava difficile anche solo macchiare una pagina, fosse anche di inchiostro virtuale. 

Un continuo fare e disfare senza alcun approdo. 

Mi aspetto ed auguro che con il tempo questi sforzi, all’apparenza senza un risultato, possano tradursi in riflessioni, considerazioni più profonde dopo l’emotività del momento; emotività che annebbia la lucidità necessaria per una narrazione che aiuti a riflettere con la dovuta serenità chi scrive e chi lo legge. 


Monologo vincitore del I° Premio

Mare Nostrum


Mare nostrum quod es inter terras


Molti e diversi sono i miei nomi.

Le genti che abitano le mie sponde, da sempre credono di avermi generato dandomi un nome, tuttavia io ero, sono e sarò e nessuno potrà mai arrogarsi diritti che non ha, né gli riconosco.

Anche un figlio “è” e vive libero col nome dato da altri, ma nessuno mi è stato padre.

Conservo le memorie e ciò che resta di chi per imperizia, per sprezzo del pericolo, per ingordigia, per paura, per disperazione ha troppo osato.

Eroi e pavidi, esploratori e pigri, vecchi e giovani, maschi e femmine, uomini e dei, re e schiavi per me non fanno alcuna differenza, tratto tutti alla pari, io sono come la morte e non ho riguardo per nessuno.

Sempre sarò culla e sepolcro.

Le mie acque hanno raccolto sangue e lacrime di gioia e di dolore.

Sulle mie rive ho visto nascere e morire religioni, monarchie e repubbliche, dittature e democrazie, santi e diavoli, malvagità e bellezza, città e villaggi in un turbine di trasformazioni senza fine.

Sono testimone dei destini di nazioni che si credevano indistruttibili, convinte di poter sfidare impunemente l’eternità e di quelle che, pur lontane, hanno subito l’influsso di idee e costumi nati qui.

Tutto il pianeta ha dovuto fare i conti con quello che è successo intorno a me.

Mai nessun altro mare ha sentito risuonare tanti idiomi diversi.

Ho fatto miei i frutti, gli alberi e colture venute da lontano, come se da sempre mi appartenessero.

Le terre che mi circondano in un dolce abbraccio materno sono invece agitate come io lo sono e hanno trasmesso questa inquietudine ai popoli che le abitano e che hanno dovuto lottare senza requie per rubare lembi di terra alle acque, sanare paludi, fronteggiare maree e le onde che sanno essere carezza e schiaffo.

Basta poco perché tutto torni selvaggio come prima.

Sono come il deserto, ci accomuna il silenzio, il vento, l’insidia di rimanerne prigionieri.


Da nobis vitam et scientiam

 

Le giuste distanze vi hanno garantito autonomia e possibilità di scambi continui in una eterna lotta tra nomadi e sedentari.

Avete solcato le mie onde e come moto ondoso vi siete spinti in avanti e poi ritirati secondo cicli mai interrotti.

Grazie a me, quello che è giunto fino alle mie rive, seguendo percorsi lunghi e faticosi, ha infine trovato rapidi sbocchi ovunque, per diventare patrimonio di molti.

Da sempre sono terreno fertile di migrazioni per fame di conquista, per disperazione.

Due simboli tra i tanti bastino a ricordarmi.

Venezia, città impossibile e splendida che poggia maestosa su una foresta sommersa e lotta con caparbia tenacia contro acqua e tempo, pur fuori dal tempo.

E infine tu Ulisse, il figlio amato, affamato di avventura e di conoscenza a cui non hai esitato sacrificare le vite dei compagni e mettere a repentaglio la tua, tu che hai avuto l’ardire di sfidarmi quando gli uomini credevano che divinità capricciose mi abitassero, tu che su questo mare potevi vantare pretese da re dopo essere sopravvissuto a prove durissime e sfidato le mie inquietudini, tu non sei riuscito a domare la tua curiosità insaziabile e nemmeno io ti sono bastato, né le braccia pazienti e calde della fedele Penelope.

 

 Da nobis pacem

 

Che ne sarà di me, di voi, di noi, di questo piccolo mondo, dell’universo intero?

Al calar della sera mi invade una malinconia densa e scura e mentre il sole s’immerge nelle mie acque e l’oscurità della notte vince sulla luce, io divento cielo e il cielo mare.

Comprendo la vertigine di chi si lascia ammaliare e sente di essere finalmente parte del tutto mentre la bramosia di prevalere, di possedere, l’arroganza e l’illusione di sentirsi onnipotenti si liquefano e si stemperano.

È un po’ come morire a poco a poco.

Le mie onde accarezzino le vostre terre e vi cullino con un moto lieve, che io sia talamo e le stelle tetto, non pensate con ansia al domani, non permettete all’angoscia di invadere il cuore e la mente.

Abbandonatevi ai sogni, lasciateli librare come gabbiani che veleggiano sulle mie acque, siate lieti.

 

Amen.


Motivazione della Giuria

Se la Terra è da sempre considerata la madre dell’umanità, al Mar Mediterraneo si deve riconoscere il ruolo di padre della civiltà. E il Mediterraneo, che in questo senso può considerarsi il padre di tutti i “Mari”, umanizzato dall’autore, diviene voce di una profonda preghiera, un “Padre Nostro” laico, qui presentato sottoforma di monologo.

Come fosse davvero padre, gli vengono attribuite doti di autorevolezza e imparzialità. La sua è presenza costante: dispensatrice di ricchezze, autrice di mediazioni. Come un padre, nel bene e nel male, mai si risparmia, a costo anche di sacrificare la propria salute. Ed è qui che traspare, nella parola a lui data, una nota di rammarico per quei figli ostinati a non seguire l’indirizzo del padre.

Ma il mare avrà comunque una vita propria, a prescindere dalle dimenticanze dei figli e dalle loro cattive abitudini.

Una preghiera che ha il pregio di far intravedere un monito, pur senza cadere nelle acque della retorica.

Mare Nostrum quod es inter terras/Da nobis vitam et scientiam/Da nobis pacem/Amen.

Assunta Spedicato.

Nota del Presidente di Giuria

La descrizione risulta originale e molto valida per un monologo in cui questo “mare” viene umanizzato. Ci parla, quindi, e racconta la sua storia, le sue sensazioni, come un dio mitologico destinato ad essere al servizio di una umanità spesso ingrata e irriconoscente, avida di coglierne solo i benefici come bellezza e frutti, spunti per la propria ingorda fantasia, pronta a speculare sulle risorse che esso offre, incurante delle forze che può sprigionare per affermare pure la sua forza naturale.

Un mare che ci apre il suo cuore e, in fondo, riesce a commuovere, a convincere e a indurre a sentimenti di libertà.

Giuseppe Laterza.

venerdì 16 ottobre 2020

“Scendevamo giù per la collina” di Gabriella Valera Gruber

Cronaca di una presentazione fuori dai canoni.



Se la poesia di Gabriella Valera tocca diverse tematiche, è perché tanti sono stati gli imput ricevuti dagli incontri che hanno caratterizzato la sua attività. Ogni argomento è frutto di esperienza, di realtà vissute o semplicemente osservate, sempre con occhio acuto e benevolo, e con l’intento di dare spazio alla parola altra, senza mai imporre la propria.

Abbiamo già avuto modo di conoscere, nell’intervista da lei rilasciata e QUI riproposta, Gabriella Valera Gruber come persona socialmente e culturalmente impegnata. Ma cosa sappiamo di lei in quanto poeta?

In realtà, Gabriella Valera Gruber è nel suo ambiente un’autrice nota ed apprezzata, tanto che, a dover parlare di lei, verrebbe soggezione a chiunque.

Eppure, nonostante l’indiscusso valore e le numerose manifestazioni di stima, Gabriella rimane una persona umile, sempre alla ricerca del confronto.

Cosa non è stato già detto circa la sua poesia?, in tanti ne hanno parlato approfonditamente, analizzandone tutti gli aspetti in maniera aderente al suo sentire. Così è anche per la sua ultima pubblicazione “Scendevamo giù per la collina” Battello stampatore, una raccolta di oltre 100 testi, che scopriamo valorizzata da prefazione e postfazione, entrambe molto curate ad opera di Claudia Azzola ed Enzo Santese. Ulteriore arricchimento è stato poi apportato da Ottavio Gruber, marito dell’autrice, con le sue incisioni.



Certo, nessuno si sarebbe mai aspettato di dover attraversare un periodo così buio quanto quello attualmente vissuto, segnato dalle morti e dall’isolamento forzato. Una circostanza che ha visto annullare tanti impegni, inclusi quegl’incontri che la nostra autrice aveva in programma per presentare al pubblico la sua raccolta.

Ma una personalità come la sua, tenace ed instancabile, non poteva certo farsi sopraffare dalla contingenza, o non approfittare delle risorse in rete per promuovere altre iniziative culturali e per portare in qualche modo a termine quelle già in corso.

Anche gli incontri di poesia del mercoledì sono proseguiti regolarmente grazie all’uso di una piattaforma on-line. Ed è stato in uno di questi ultimi incontri che Gabriella Valera ha espresso il desiderio di voler riprendere le presentazioni della sua raccolta, alternandola contemporaneamente con quella di altro autore del gruppo.

Cosa non semplice, a dire il vero, per chi come me attende il mercoledì per declamare i propri versi e ricevere un giudizio qualificato, se non un consiglio utile a migliorare il proprio stile. Ma le occasioni vanno colte, e noi, fruitori degli incontri di poesia del mercoledì, lo abbiamo fatto. Ciascuno a suo modo: leggendo e motivando, a sorpresa, le poesie di questa ricca raccolta. Ne è venuta fuori una singolare presentazione, sincera e partecipata. Cosa che l’autrice ha avuto la bontà di gradire, in modo palese.

Ed ora, per la promessa fattale di riportare per iscritto le brevi note che hanno accompagnato la lettura dei suoi versi, prendo l’iniziativa di cominciare con la mia. Con la speranza che altri vogliano poi aggiungere anche la loro.

 

Uno degli aspetti che di frequente emerge dai testi poetici di Gabriella Valera Gruber, è la sua capacità di rappresentare la sofferenza umana, compresa quella meno visibile, pur restando al di sopra del personale. Il dolore, spesso evidenziato dal verso asciutto e privo di sfumature artificiose, resta comunque morbido, aperto alla speranza, nel suo rappresentare la condizione di fragilità dell’uomo, rispetto alle forze della natura.

Il suo è un volo paragonabile a quello del gabbiano, creatura spesso presente nei suoi versi, capace di vivere cielo, terra e mare, un campo visivo più ampio sul quale restare, senza mai poggiare sul terreno della retorica: Ali ampie di gabbiano / in alto / superbe e candide /nel grigio delle nuvole / respiro ampio mi solleva.

Ma da così profondo dolore, l’autrice sorprende col suo improvviso riemergere come essere umano bisognoso d’amore. Ed è nel suo amore per l’altro che ella trova in fine consolazione, dando così vita ad un coinvolgente equilibrio dei versi che hanno funzione conciliante, capaci di acquietare l’essere umano in preda alle proprie contraddizioni: / oggi nel cielo alto dell’estate / fra rami frondosi, / la voce degli uccelli / ha una forza che non perdona / l’anima rincantucciata / fra i problemi di sempre. // Non ho ancora risolto l’enigma. // Ma c’è un amore che mi attende / ed io per lui / ogni giorno / ritorno da lontano. / Stasera, quando ci daremo la mano, / avrò negli occhi un canto.

È facile cogliere come l’amore diventi artefice di rientri da quel luogo lontano, dove la sensibilità del poeta vive immersa nella dolorosa visione della realtà.

L’amore, sentimento nutrito e ricambiato, ha radici nel profondo rispetto per l’altro, e per sé. Un bene, questo, che l’autrice apprezza come inestimabile ricchezza. Tant’è che nell’indossare i panni di chi ne è privo, da lei definiti i rifiutati della terra, esclama a chiusura di una breve e profonda poesia: / chiedo perdono / di esistere così come sono / senza un amore.

L’amore, anche, come chiave di lettura per approfondire il pensiero della nostra autrice.

Assunta Spedicato.



Ho aperto a caso il libro di Gabriella Valera, perché trovo complicato dover scegliere cosa leggere tra tanta bella poesia. I suoi sono versi veri, dai quali trasuda gioia e dolore, amore e abbandono. Ho sentito mie molte delle sue composizioni, al punto d'avere l'impressione che fossero "petali della mia vita". Quasi le avessimo scritte insieme, io e lei. Strana sensazione la mia, ma leggere i suoi versi è stato per me come assaporare, cogliere un frutto maturo, dolce come miele in quel passo a due… quasi avessero le ali ai piedi per "scivolare" leggeri tra le righe di un foglio bianco, giù per la sconnessa via di quella collina che fa da cornice ad un sentimento puro, vero, leale.
La collina dell'amore è e sarà sempre in fiore. Il sale della vita mi si scioglie tra le ciglia, e vederli felici riempie di gioia anche me. Il loro amore è vita, un bene che si respira stando loro accanto, una gioia infinita, un'emozione, quasi quanto leggere all'imbrunire... SCENDEVAMO GIÙ PER LA COLLINA, insieme.
Oriana Sandrin D'Ascenzi.


Più leggo il libro di Gabriella Valera e più dalle sue pagine sento affiorare una forza, una bellezza, una dolce determinazione e ed una strenua adesione alla pienezza del vivere che rivelano la sua preziosa testimonianza in cui la luce s’intreccia all’ombra, il silenzio alla parola, la memoria all’oblio. E’ lei l’artefice di questa complessa e delicata tessitura che è la vita stessa. Il suo canto si snoda consapevole e lieto tra ascese e declivi, attraversando soglie, oltrepassando confini, accogliendo il mistero dell’indicibile. Eppure, nonostante la pacata e serena consapevolezza di cui è permeata la sua parola poetica, Gabriella Valera riesce ugualmente a descrivere il dolore e la sofferenza, spezie immancabili al banchetto della vita. 

Nella sua testimonianza si sente tutto l’impegno del suo prodigarsi incessante sui fronti dell’arte, della cultura e della solidarietà umana. 

Il suo costante offrire spazi d’incontro e di dialogo, sguardi che colgono sempre da diverse angolature la complessità dell’essere, fluisce come una musica che accompagna il volgersi del tempo. La sua profonda cultura, prodotto di ricche ed intense frequentazioni letterarie, le permette l’eleganza della semplicità ed il suo stile inconfondibile è fatto di sottrazioni e condensazioni. Il pathos è trattenuto e proprio per questo più intenso ed alimenta la grazia del non detto, quella che ci fa intuire la profondità della sua anima generosa. 

Prezioso compagno di questo suo viaggio, è l’artista e poeta Ottavio Gruber, le cui opere scandiscono le pagine del libro con dettagli, paesaggi urbani e campestri, creando splendide ed intense interazioni. 

“L’arrivo e le partenze / mistero del viaggio / che si appoggia fra rotaie celesti / nello spazio diradato / di luci e nebbie / ombre che si muovono / respiri che si incontrano” (pag. 209)

Su queste rotaie metafisiche sono racchiusi il mistero e la meraviglia del suo percorso poetico, fatto d’incontri, di scambi, e di un coraggioso procedere con levità ed intento inflessibile.
Lucia Guidorizzi.


La poesia di Gabriella fa vibrare sogni ariosi, si concedono raccontandomi della sua profumata ricchezza che generosamente regala. La mia vita poetica si è impreziosita e l'averla conosciuta è stato un magico viatico che sempre custodisco assieme alla sua benevola serena immagine che visualizzo con gioia e amore. 
Maria Luisa Grandi


Sono emozioni, sentimenti, leggere vibrazioni nell’aria, poesia che copre passato, presente e futuro. Gabriella ci accompagna con mano dentro al suo mondo interiore, ci fa osservare con i suoi occhi, ascoltare con il suo cuore, percepire con la sua sensibilità quanto gravita intorno a lei. Una poesia profonda, intima, delicata e allo stesso tempo, rappresentativa di quell’universo che è alla portata di tutti ma percepito soltanto da anime sensibili come la sua. Grazie per averci aperto la porta di quell’amore così grande che abbraccia tutto il mondo, nelle sue bellezze e nelle sue tristezze, nelle realtà che la vita ci offre.
Elena Giacomin.






lunedì 5 ottobre 2020

Premio Poesia Cantina Valpantena - VI Edizione, anno 2020

 Veneto - Verona


Cantina Valpantena, nel settimo centenario della sua morte, vuole ricordare Dante Alighieri proponendo come tema del VI concorso Premio Poesia un piccolo estratto del canto XXV del Purgatorio:

"guarda il calor del sol che si fa vino,
giunto a l’amor che de la vite cola."



Cantina Valpantena Verona organizza il concorso con cadenza biennale, fin dal 2010, per promuovere gli stretti legami tra l'opera letteraria e l'attività vitivinicola. Il tema scelto per l'edizione di quest'anno è costituito dai versi 77-78, dedicati alla vite e al vino, del canto XXV del Purgatorio. Un omaggio a Dante Alighieri in vista del settimo centenario della sua morte, che si celebrerà nel 2021. Il componimento che saprà meglio esaltare i versi della Divina Commedia verrà stampato sull'etichetta di una bottiglia celebrativa. Previsti anche dei premi per i primi tre classificati, due omaggi speciali e venti segnalazioni.

Sono 508 le poesie inviate per partecipare alla sesta edizione del concorso ideato e promosso da Cantina Valpantena. Il bando, chiuso il 20 giugno dopo una proroga di due mesi a causa del lockdown legato al Covid-19, ha registrato una risposta record. Sono stati infatti 300 i componimenti in gara nell'edizione precedente. Il presidente della giuria Antonio Seracini e i giurati Bruno Avesani, Annamaria Fraccaroli, Nerina Poggese e Fabiola Ballini si riuniranno a settembre per decretare i vincitori. Vista la situazione di incertezza, l'evento di premiazione previsto in auturnno è posticipato alla primavera del 2021.

17ª Edizione Premio Letterario Nazionale «Città di Forlì»

 Emilia Romagna - Forlì (Forlì-Cesena)


Il Centro Culturale L’Ortica di Forlì - Sezione orticadonna con il patrocinio di:

    Comune di Forlì, Assessorato Promozione settore culturale e museale, Università

    Provincia di Forlì-Cesena

e con la collaborazione di:

    Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

    Biblioteca Comunale “A. Saffi” di Forlì

ha bandito la diciassettesima edizione del Premio Letterario Nazionale “Città di Forlì”




Elenco premiati

Sezione Poesia Inedita


1° classificato TIZIANA MONARI di Prato
2° classificato STEFANO BALDINU di S. Pietro in Casale (BO)
3° classificato LORENZO SPURIO di Jesi (AN)

Finalista DANIELA CORTESI di Forlì
Finalista RITA MINNITI di Cava dei Tirreni (SA)

Segnalati:

DARIO DE SERRI di Ferrara
STEFANO DI UBALDO di Calolziocorte (LC)
ATTILIO GARDINI di Forlì
MATTEOANGELO LAURIA di Susa (TO)
DIELLA MONTI di Pievequinta (FC)
FRANCESCA PANZACCHI di S. Lazzaro di Savena (BO)
LUIGI PARABOSCHI di Castelsangiovanni (PC)
CARLOTTA RINALDINI di Cesena (FC)
DANILA ROSETTI di Forlì
ASSUNTA SPEDICATO di Corato (BA)

Il totale dei concorrenti è 232

La premiazione avverrà Domenica 25 Ottobre alle ore 15.00

Rinviata