Monologo vincitore del I° Premio
Mare Nostrum
Mare nostrum quod es inter terras
Molti e diversi sono i miei nomi.
Le genti che abitano le mie sponde, da
sempre credono di avermi generato dandomi un nome, tuttavia io ero, sono e sarò
e nessuno potrà mai arrogarsi diritti che non ha, né gli riconosco.
Anche un figlio “è” e vive libero col nome
dato da altri, ma nessuno mi è stato padre.
Conservo le memorie e ciò che resta di chi
per imperizia, per sprezzo del pericolo, per ingordigia, per paura, per
disperazione ha troppo osato.
Eroi e pavidi, esploratori e pigri, vecchi
e giovani, maschi e femmine, uomini e dei, re e schiavi per me non fanno alcuna
differenza, tratto tutti alla pari, io sono come la morte e non ho riguardo per
nessuno.
Sempre sarò culla e sepolcro.
Le mie acque hanno raccolto sangue e
lacrime di gioia e di dolore.
Sulle mie rive ho visto nascere e morire
religioni, monarchie e repubbliche, dittature e democrazie, santi e diavoli, malvagità
e bellezza, città e villaggi in un turbine di trasformazioni senza fine.
Sono testimone dei destini di nazioni che
si credevano indistruttibili, convinte di poter sfidare impunemente l’eternità
e di quelle che, pur lontane, hanno subito l’influsso di idee e costumi nati
qui.
Tutto il pianeta ha dovuto fare i conti
con quello che è successo intorno a me.
Mai nessun altro mare ha sentito risuonare
tanti idiomi diversi.
Ho fatto miei i frutti, gli alberi e
colture venute da lontano, come se da sempre mi appartenessero.
Le terre che mi circondano in un dolce abbraccio
materno sono invece agitate come io lo sono e hanno trasmesso questa
inquietudine ai popoli che le abitano e che hanno dovuto lottare senza requie
per rubare lembi di terra alle acque, sanare paludi, fronteggiare maree e le
onde che sanno essere carezza e schiaffo.
Basta poco perché tutto torni selvaggio
come prima.
Sono come il deserto, ci accomuna il
silenzio, il vento, l’insidia di rimanerne prigionieri.
Da nobis vitam et scientiam
Le giuste distanze vi hanno garantito
autonomia e possibilità di scambi continui in una eterna lotta tra nomadi e
sedentari.
Avete solcato le mie onde e come moto
ondoso vi siete spinti in avanti e poi ritirati secondo cicli mai interrotti.
Grazie a me, quello che è giunto fino alle
mie rive, seguendo percorsi lunghi e faticosi, ha infine trovato rapidi sbocchi
ovunque, per diventare patrimonio di molti.
Da sempre sono terreno fertile di
migrazioni per fame di conquista, per disperazione.
Due simboli tra i tanti bastino a ricordarmi.
Venezia, città impossibile e splendida che
poggia maestosa su una foresta sommersa e lotta con caparbia tenacia contro
acqua e tempo, pur fuori dal tempo.
E infine tu Ulisse, il figlio amato,
affamato di avventura e di conoscenza a cui non hai esitato sacrificare le vite
dei compagni e mettere a repentaglio la tua, tu che hai avuto l’ardire di
sfidarmi quando gli uomini credevano che divinità capricciose mi abitassero, tu
che su questo mare potevi vantare pretese da re dopo essere sopravvissuto a
prove durissime e sfidato le mie inquietudini, tu non sei riuscito a domare la
tua curiosità insaziabile e nemmeno io ti sono bastato, né le braccia pazienti e
calde della fedele Penelope.
Da
nobis pacem
Che ne sarà di me, di voi, di noi, di
questo piccolo mondo, dell’universo intero?
Al calar della sera mi invade una
malinconia densa e scura e mentre il sole s’immerge nelle mie acque e
l’oscurità della notte vince sulla luce, io divento cielo e il cielo mare.
Comprendo la vertigine di chi si lascia ammaliare
e sente di essere finalmente parte del tutto mentre la bramosia di prevalere,
di possedere, l’arroganza e l’illusione di sentirsi onnipotenti si liquefano e
si stemperano.
È un po’ come morire a poco a poco.
Le mie onde accarezzino le vostre terre e vi
cullino con un moto lieve, che io sia talamo e le stelle tetto, non pensate con
ansia al domani, non permettete all’angoscia di invadere il cuore e la mente.
Abbandonatevi ai sogni, lasciateli librare
come gabbiani che veleggiano sulle mie acque, siate lieti.
Amen.
Motivazione della Giuria
Se la Terra è da sempre
considerata la madre dell’umanità, al Mar Mediterraneo si deve riconoscere il
ruolo di padre della civiltà. E il Mediterraneo, che in questo senso può
considerarsi il padre di tutti i “Mari”, umanizzato dall’autore, diviene voce
di una profonda preghiera, un “Padre Nostro” laico, qui presentato sottoforma
di monologo.
Come fosse davvero padre, gli
vengono attribuite doti di autorevolezza e imparzialità. La sua è presenza
costante: dispensatrice di ricchezze, autrice di mediazioni. Come un padre, nel
bene e nel male, mai si risparmia, a costo anche di sacrificare la propria
salute. Ed è qui che traspare, nella parola a lui data, una nota di rammarico
per quei figli ostinati a non seguire l’indirizzo del padre.
Ma il mare avrà comunque una vita
propria, a prescindere dalle dimenticanze dei figli e dalle loro cattive
abitudini.
Una preghiera che ha il pregio di
far intravedere un monito, pur senza cadere nelle acque della retorica.
Mare Nostrum quod es inter terras/Da nobis vitam et scientiam/Da nobis pacem/Amen.
Assunta Spedicato.
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