giovedì 21 dicembre 2023

Intervista a Tiziana Monari, 1° Premio Sezione Poesia al XVIII Premio letterario NCC

 a cura di Assunta Spedicato



Chiunque provi a digitare il suo nome in rete potrà facilmente verificare che Tiziana Monari è un’autrice molto apprezzata, soprattutto nell’ambiente dei premi letterari. Lungo è infatti l’elenco dei riconoscimenti da lei conseguiti nell’arco di circa 16 anni di attività come scrittrice. Ma di Tiziana, oltre al fatto che è nata a Monghidoro e che attualmente vive e lavora a Prato, in realtà si sa ben poco.

Come hai scritto, sono nata a Monghidoro, un piccolo paese sull’Appennino tosco emiliano. Quando avevo quattro anni i miei genitori si sono trasferiti a Prato, io però ho trascorso ancora lunghi periodi di tempo insieme ai nonni nella quiete della montagna. Ho seguito studi umanistici letterari per poi sposarmi giovanissima con Roberto che da tantissimi anni è il mio compagno di vita insieme a due cani (Derek e Scilla) e ad un gatto (Emilio). Mi piace viaggiare (ho visitato 76 stati del mondo), leggere, amo immensamente gli animali e sono vegetariana quasi vegana.


Da ragazzina, quali erano i tuoi sogni?, e la scrittura, quando hai capito che avrebbe fatto parte della tua vita?

Non avevo grandi sogni, il più grande era quello di scappare dalla città alla fine della scuola per tornare in quella montagna che abitava lo spazio infinito del mio cuore. Durante l’estate leggevo libri su libri, mi immergevo nelle storie creando un mondo parallelo a quello reale, allargavo i miei orizzonti appagandomi con la ricchezza della lettura. Che la scrittura avrebbe fatto parte della mia vita l’ho scoperto molti anni dopo durante un viaggio in Perù. Ho scritto un articolo sulle bellezze di questo paese in prosa poetica che poi ha vinto un concorso su una rivista di viaggi. L’anno dopo sono andata a Cuba e anche lì ho messo su carta le sensazioni di quella terra. Al rientro a casa ho spedito tutto ad un altro concorso classificandomi al primo posto con una silloge di poesie. Così è nato il mio primo libro “Il cielo capovolto”.


Attestato con la motivazione per la Poesia premiata



Tiziana, ti va di raccontare un po’ della tua infanzia, che bambina eri?

Ero una bambina solitaria, ho sempre avuto uno scarso interesse per i rapporti sociali e anche da piccola preferivo dedicarmi ad attività intime e tranquille. Mi piaceva stare da sola ed estraniarmi dal contesto per concentrarmi sul mio mondo interiore, sui miei pensieri e sulle fantasie. Avevo una mia sicurezza spirituale per cui ero capace di stare da sola senza alcun problema, insieme solo ai miei nonni che mi facevano stare bene con il loro amore incondizionato.


Ho letto di te che ami molto leggere, qual è l’autore che per primo e più di altri ti ha impressionata?

Sicuramente Camilleri, uno scrittore che sapeva essere popolare ed intellettuale insieme. Un uomo che è sempre riuscito con i suoi racconti a mettere in risalto i fatti e le figurine ridicole che hanno invaso il nostro paese intrattenendoci brillantemente e nello stesso tempo denunciando gli scandali che stavamo vivendo. E’ riuscito a sedurci con personaggi comuni e con una Sicilia tra cartolina e caricatura. Un narratore capace che sapeva creare storie avvincenti che conquistavano il pubblico facendogli dimenticare il tempo del presente per proiettarlo nel tempo e nello spazio della storia.




I tuoi versi, che ho avuto il piacere di apprezzare, sono dei veri e propri viaggi emotivi, sono ricchi di immagini che sanno esprimere luoghi e situazioni. Qual è la scintilla che ti spinge a intraprendere quei viaggi?

La scintilla che mi porta a viaggiare nel mio inconscio è il dolore. Nel tempo nella mia vita si sono accumulati tanti momenti difficili, che ho vissuto in compagnia del dolore e del silenzio.

La poesia mi ha dato la capacità di vedere attraverso questi dolori, come se la loro funzione avesse uno scopo, uno scopo che andava al di là delle mie possibilità del momento ma che mi riguardava in una maniera molto profonda. I dolori che non potevo condividere con altri, li ho condivisi con la poesia, che è riuscita a collegare la mia mente con il mio cuore attingendo risorse da una parte del mio mondo interiore in gran parte inesplorato. Quella sensibilità che molti attribuiscono alla mia poesia non è altro che una visione della vita dolorosa, vista con gli occhi di una donna che ha sofferto e sta soffrendo molto.

Quale aggettivo affiancheresti alla parola sensibilità per meglio definire la tua?

Direi sensibilità innata e dolorosa.

 

Nella scala dei valori, a quale riserveresti il gradino più alto?

Alla compassione ed al rispetto per gli animali. Sono stanca di questo mondo omologato, irreggimentato, valutato esclusivamente sul criterio della vendita e del consumo. Un mondo che ha come unico orizzonte la materia e il profitto e che impone ai suoi abitanti, in maniera subdola, la totale anestesia del cuore. Sono stanca del randagismo, degli orrori della vivisezione, della sofferenza degli animali selvatici nei circhi, della crudele follia degli allevamenti intensivi. Gli animali sono creature fragili e indifese e i crimini contro di loro mi disgustano per la sproporzione del potere tra la vittima ed il carnefice. Credo che una cultura in cui si sviluppano forme di violenza contro gli animali abbia come riferimento un modello di vita basato sulla prevaricazione, sull’aggressività sistematica, sul disprezzo per le ragioni dei più deboli. E una società che trova nella sofferenza un significato ad un’esistenza vuota e noiosa è una società senza valore, senza rispetto per la vita.


Ami molto leggere e viaggiare, c’è altro a cui ti dedichi?

Guardo le serie noir in tv (sono una grande appassionata di gialli), leggo fumetti (Topolino, i Peanuts, Lupo Aberto e Julia e coccolo (almeno una mezz’ora ogni sera) i miei cani ed il mio gatto.

A cosa stai lavorando attualmente? Hai mai pensato di scrivere per il Teatro?

Ho finito adesso due sillogi di poesie che sono state date da pochissimo alle stampe. Prenderò un periodo di pausa almeno fino all’anno nuovo, poi comincerò a pensare a qualche nuovo progetto. Mi piacerebbe tantissimo scrivere un libro giallo, o magari anche un testo teatrale (cosa che non ho mai fatto)…chissà…





domenica 17 dicembre 2023

Cerimonia di premiazione del III Premio nazionale di Poesia "Alessandro Fariello – Sulle ali della libertà"

Venerdì 15 dicembre 2023, presso il Castello Normanno-Svevo di Sannicandro di Bari, alla presenza di un attento e nutrito pubblico, si è svolta la cerimonia conclusiva del Premio di Poesia ideato dal dott. Vito Plantamura per ricordare Alessandro Fariello, giovane affetto da SMA recentemente scomparso, a sua volta poeta e autore di diverse raccolte.

Bando reperibile al seguente LINK

Il tema proposto per la Sezione Senior è stato il seguente: “LA STAZIONE - UN IMMAGINARIO EVOCATIVO”


Nella foto la conduttrice Chiara Longo e l'ideatore dell'iniziativa Vito Plantamura


All'invito rivoltomi a partecipare al concorso ho risposto con piacere, presentando un componimento rispondente al tema proposto e dedicato proprio ad Alessandro.

La Giuria composta da MARIO SICOLO (Presidente), CHIARA CANNITO (Scrittrice e manager culturale), LUISA DI FRANCESCO (Scrittrice e poetessa, già vincitrice del 1° Premio alla seconda edizione), ROSSELLA GIUGLIANO (Attrice, regista), NICOLA LAVACCA (Giornalista di Avvenire e Famiglia Cristiana), VITO PLANTAMURA (Docente, Presidente Associazione Angeli senza Frontiere) e HAFEZ HAIDAR (International President), ha ritenuto assegnare il 2° Premio al mio testo, intitolato VIAGGIO IN-DIRETTO (al poeta guerriero),

Ringrazio la Giuria, gli organizzatori e i genitori di Alessandro, persone speciali che ho avuto il piacere di conoscere durante la serata.





Targa e Opera d'Arte gentilmente offerta dalla scultrice Lucia Schiavone

venerdì 8 dicembre 2023

Intervista a Michela Buonagura, 1° Premio Sezione Racconto al XVIII Premio letterario NCC



a cura di Assunta Spedicato

Michela Buonagura, il suo nome non ci è nuovo. Anche qui, come nella precedente intervista, ritroviamo un’autrice già premiata in due delle passate edizioni del Premio letterario, in quanto distintasi per contenuti e stile narrativo.

In “Voglio di più”, il racconto vincitore del Primo Premio nell’edizione appena conclusa, lei torna a regalarci una storia declinata al passato che mette al centro una figura femminile umile per condizione ma al tempo stesso potente nello spirito. Sembra quasi che lei, attraverso la scrittura, voglia ridare credito a quell’immagine di donna a lungo sminuita dalle convenzioni. Se è così, da quale episodio o momento della sua vita è scaturita dirompente questa sua premura? Si racconti.

- La figura femminile che in un modo o nell’altro lotta per riscattarsi è ricorrente nei miei scritti, sia in prosa che in versi. Nasce da un vissuto politico che affonda le radici nella mia gioventù, che mi ha vista sempre impegnata nella lotta per la conquista e la difesa dei diritti delle donne, contro le discriminazioni di genere che purtroppo persistono, fissate in modi di dire e stereotipi diffusi da tanta pubblicità, e finanche nelle opere artistiche. Sono storie che aspirano alla quotidianità, al vero, che narro cercando di immedesimarmi nel vissuto delle protagoniste, seguendone la parabola del cambiamento e della crescita.


Di recente ha dato alla luce una raccolta di racconti dal titolo “Conto i passi” – Storie di disamore. Chi sono le protagoniste dei suoi racconti? Ci parli della sua creatura.

- Il mio libro Conto i passi rappresenta un punto di partenza, ma anche di sintesi di un'esperienza più che decennale, che mi ha vista impegnata, attraverso eventi, convegni, flash mob contro il fenomeno della violenza sulle donne. Infatti il titolo Conto i passi nasce da un testo poetico presente nella raccolta Viaggiamo fuori rotta, pubblicato qualche anno fa, e ha per sottotitolo Storie di disamore, col fine di denunciare quello che molto spesso, più di quanto si creda, viene chiamato amore, ma ne è in realtà la sua falsificazione. Ma nasce anche da un episodio specifico che rappresenta l’eccezionalità nella prossimità. Accadono fatti atroci che ascoltiamo in televisione, leggiamo sui giornali, proviamo orrore, pena, poi ce ne dimentichiamo. Pensiamo sempre che possa accadere altrove, che possa accadere agli altri, come se gli altri fossero esseri senza fisicità, non li mettiamo a fuoco, sono indistinti. Poi succede nel tuo paese o in un paese vicino. Ne resti sconvolta. Senti la necessità di capire, di coglierne il senso, se c’è un senso. La scrittura ti apre la porta, ti permette di entrare in empatia con i sentimenti degli altri, di soffermarti sulle parole, sui gesti, sui pensieri. Su queste pagine ho attraversato le vite di donne martoriate, mogli, madri, figlie. Ho accompagnato lungo un percorso doloroso bambine violate, ragazze tradite, ferite nella loro ingenuità e fiducia verso gli uomini. Dalla lettura dei 29 monologhi viene fuori una fragile psicologia femminile, fatta di insicurezze, di disistima di sé, di ingenua spavalderia, di un amore incondizionato che porta alcune donne all’annullamento e altre a dimostrare tutto il coraggio di cui sono capaci nel riprendere in mano la loro vita.
Attraverso il racconto delle loro esperienze, si definisce una casistica della violenza di genere, legata ad ambienti e contesti disparati, in cui il maltrattamento e la coercizione appaiono come disvalori trasversali di uomini che non hanno più nulla di umano. Quindi, parlo anche di uomini, non solo di donne. Si parla sempre delle vittime, poco dei carnefici. E invece bisogna mostrarne i volti, dire i loro nomi più delle vittime, il fenomeno andava esplorato anche da questo lato. La violenza di genere è strettamente connessa alla cultura patriarcale, viene esercitata da uomini dalla mentalità maschilista, uomini normali, come ne conosciamo tanti, che non vogliono essere detronizzati, che considerano la donna un oggetto di loro proprietà, vogliono deciderne la vita e quando questo non è possibile, usano la violenza in tutti i modi possibili e con tutti i mezzi. Sono fidanzati, mariti, compagni, o semplicemente degli sconosciuti. Sono maschi che compiono delitti efferati perché incapaci di accettare un no, è finita, non ti amo più. Maschi convinti che la donna vada gestita come una proprietà personale, possesso. Pervasi dalla becera idea che la compagna sia un bell’oggetto da esibire, a volte per status, riflesso di un modo di pensare che non ha nulla a che vedere con l’essere uomo. Nel mio libro gli aguzzini si esprimono con un linguaggio maschio che cerca consenso, giustifica l’azione commessa, utilizza stereotipi che appartengono a una visione maschiocentrica dei rapporti umani, ottusi e brutali nell'affermazione della loro virilità, capaci di feroci menzogne pur di prevaricare e dominare. Urgeva sottolineare, affinché fosse messa in luce la necessità di agire su questo modo di pensare e di comportarsi. Non è stato facile penetrare anche nella profondità di queste nature fredde e volgari, strapparne le viscere, svelarne gli inganni, ma credo che l'opera di un'artista debba avere uno sguardo sul mondo lucido e a volte spietato, uno sguardo che non ha paura, che non si offusca, che non indugia nella commiserazione. L'opera di un'artista non deve aspettarsi il consenso facile, l'accettazione incondizionata, deve essere disturbante, urlare in faccia il torto, il male che si annida nella quotidianità di una stanza apparentemente calda e accogliente, dai colori vivaci e accesi, magari di un rosso brillante e di materia grigia. I monologhi esprimono una varietà di sentimenti con parole amare, sussurri, singhiozzi, urla disperate che si levano dolenti come da un inferno dantesco. E per farlo utilizzo tecniche narrative non facili, a partire dal monologo interiore e il flusso di coscienza, imponendo alla materia un senso di straniamento.


Al termine di una gratificante carriera come docente di Lettere, in che modo ha riorganizzato il suo tempo?

- Seneca, nel suo trattato "De Brevitate Vitae", sosteneva che un giovane che avesse condotto la propria vita con virtù avrebbe vissuto appieno, a differenza di un anziano abituato al lusso. Personalmente, non ho dovuto riorganizzare la mia vita, poiché ho sempre vissuto immersa nella letteratura, nella scrittura e nei rapporti umani. Nonostante la conclusione della mia carriera di insegnante, continuo a coltivare preziosi legami educativi. Partecipo a convegni, eventi, contribuisco alla progettazione e realizzazione di progetti nell’associazione Gruppo Archeologico Terra di Palma, nel quale sono anche responsabile della biblioteca.


Il ruolo di educatore richiede una prontezza nel dare e nel ricevere. Quanto le manca la scuola? 

- La scuola mi manca per la gioia di contribuire alla formazione e per i legami significativi con gli studenti, ma fortunatamente con tanti il rapporto continua. Mi parlano dei loro sogni, delle difficoltà, dei successi universitari. In questo dare e avere ricevo tanta ricchezza, sono giovane insieme a loro, non resto indietro. Mi reputo fortunata.



Se seduti ai banchi di fronte a lei ci fossero i ragazzi degli anni ’80, quale argomento tratterebbe per loro?

- Se mi trovassi di fronte ai ragazzi degli anni '80, affronterei gli stereotipi di genere radicati in quel periodo, incoraggiando una mentalità più inclusiva e consapevole. La discussione mirerebbe a sensibilizzare sulla necessità di promuovere l'uguaglianza di genere, contribuendo così a plasmare una società più equa e rispettosa. Ma più che ai giovani degli anni ’80, preferirei parlare ancora ai giovani del nostro tempo, che vedo più difficile e complicato. I giovani degli anni ’80 conoscevano la lotta attiva, reale, da esprimere nelle piazze, il dibattito e il confronto nei collettivi, oggi la protesta contro i mali della società sembra esaurirsi dietro una tastiera, spesso vissuta in solitudine, in un tempo svalutato, che passa inesorabile lasciando poche tracce concrete e costruttive. Rispetto ai giovani del passato quelli odierni hanno tante opportunità, possibilità di conoscenza, alcuni sono preparatissimi, tanti vivono in solitudine, dipendenti dai nuovi media.


C’è un sogno relegato in fondo al cassetto che segretamente aspira a realizzare?

- Sì, vorrei completare il romanzo che ho avviato, ma i tanti impegni me ne allontanano. Spero di farcela.

lunedì 4 dicembre 2023

Intervista a Patrizia Ercole, 1° Premio Sezione Testo Teatrale al XVIII Premio letterario NCC

a cura di Assunta Spedicato


Patrizia Ercole, abbiamo già avuto modo, nella scorsa edizione del Premio letterario, di apprezzare e premiare la sua scrittura: un monologo su Vivian Maier dal titolo “Il mio posto nel mondo”. Anche nell’edizione appena conclusa lei ha presentato un monologo, confermando la sua predilezione per la scrittura teatrale, intitolato “Lisetta Carmi fotografa, la mia seconda vita”, testo premiato al 1° posto per la Sezione Teatro. È evidente come le protagoniste di entrambi i lavori abbiano in comune l’essere fotografe, la prima per passione, la seconda per professione. E per lei, invece, cos’è la fotografia?

- La fotografia per me è stata una grande passione che si è trasformata per un periodo della mia vita in professione. Per due anni ho studiato al Riccardo Bauer di Milano la tecnica e la storia della fotografia ottenendo la qualifica di fotografa. Mi sono specializzata nella fotografia ritrattistica in bianco e nero. Come per Lisetta Carmi è stata la mia seconda vita, prima ho lavorato come attrice a Genova, mia città d’adozione, dove mi sono diplomata alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile. Le due professionalità si sono incrociate per caso. Stavo lavorando come assistente alla regia quando il fotografo di scena non si è presentato e il regista mi ha chiesto di fotografare lo spettacolo e di selezionare le foto da inviare con i comunicati stampa. Mi sono fatta imprestare una reflex e ho imparato a caricare i rullini. Quelle foto fecero scalpore nel piccolo ambiente teatrale che frequentavo e mi ritrovai ad essere molto richiesta dai giovani attori bisognosi di un portfolio. Così quelle prime foto sono diventate le mie credenziali per essere ammessa alla scuola di Milano che mi ha dato gli strumenti per comprendere questa arte straordinaria.


È stata la sua passione per la fotografia a darle l’input per scrivere di Vivian e Lisetta, due donne così diverse tra loro? Inoltre ci dica se durante il lavoro di ricerca per la stesura dei testi è riuscita a capire se loro due avessero altro in comune, oltre alla fotografia.

- Sicuramente la mia passione per la fotografia è stata la prima motivazione per scrivere su Vivian e Lisetta. Oggi, che posso guardare con un certo distacco i miei monologhi, mi rendo conto che l’altro motivo rilevante che mi ha spinta a studiare approfonditamente le figure di queste due donne è la grande forza di carattere. E qui ha ben ha colto la motivazione del premio sul monologo di Lisetta Carmi che scrive: «Una sinfonia di situazioni di vita vissuta da Lisetta Carmi in un viaggio a vele spiegate. In pratica un cammino lungo e meraviglioso, a tratti anche inquietante dove emerge l'animo sensibile, forte, determinato e attento, anche, alla condizione femminile della protagonista. Che non sia, anche, quello dell'autrice?»
Direi che condivido con loro la determinazione. E i due ritratti si sovrappongono non solo per il fatto di essere fotografe ma anche donne forti, al di fuori dei ruoli imposti dalla società, e con una sensibilità che mi emoziona ogni volta che guardo i loro scatti.


Formazione e passioni, ci dia gli elementi per mettere a fuoco la sua immagine.

- Ho sempre avuto un unico desiderio: studiare e imparare cose nuove. La passione ha sempre tenuto per mano la mia formazione, è stata la guida che mi ha portato a ricominciare da capo tante volte nella vita ma sempre con un grande entusiasmo.
Ho fatto tanti lavori diversi che mi hanno arricchito umanamente. Un’esperienza che mi ha molto segnata sono stati i tre anni di volontariato internazionale nelle favelas di San Paolo in Brasile dove ho operato come educatrice per una ONG. La mia prima fiaba “Il canto della pioggia” è ambientata in favela e riporta quell’esperienza, quel mondo dove i bambini sono felici di niente. Come faccio dire a Lisetta Carmi che ha condiviso esperienze analoghe: «I bambini più sfortunati ridono molto di più dei bambini ricchi, sono molto più allegri e liberi, fanno quello che vogliono, non sono chiusi in casa come gli altri.»


In una sua biografia reperibile in rete, lei si definisce attrice, regista e insegnante. Come mai in quest’ordine, vuol dirci che è approdata per prima all’attività di attrice e regista e solo in seguito a quella di insegnante?

- Esattamente. Sono stata prima attrice e poi regista-pedagoga. I miei studi universitari in Pedagogia, uniti alle mie esperienze professionali, mi hanno permesso di utilizzare il teatro come strumento di formazione umana poiché pone al centro la dignità e l’autonomia della persona aiutandola a realizzarsi come individuo e come soggetto sociale. Penso che il teatro possa diventare, tra le tante possibili, un’esperienza assai preziosa per la crescita e la formazione permanente della persona. Il teatro è la mia grande passione. Imparo ogni giorno dai miei allievi all’interno di questo gioco millenario che svela l’umanità di ognuno di noi.


Da insegnante, come è riuscita a trasmettere l’amore per il teatro e la scrittura ai suoi alunni?

- Ho messo in pratica quanto espresso in sintesi da Jean Léon Jaurès: “Non si insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è.” Ha funzionato!
Negli anni ho visto ex allievi fondare compagnie teatrali, diventare premiati drammaturghi.
Penso che insegnare è un esercizio di immortalità. In qualche forma continuiamo a vivere in coloro i cui occhi appresero a vedere il mondo per la magia della nostra parola. L’insegnante, così, non muore mai.


A quale tra le opere da lei portate in scena è più legata?

- A “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller dove ho iniziato la mia carriera professionale di attrice, diretta da Giulio Bosetti, che giovanissima mi ha permesso di conoscere gli splendidi teatri presenti sulla nostra penisola. Come regista sono legata all’opera per ragazzi “Il malafiato” di Roberto Piumini con la musica di Andrea Basevi. Quest’opera prodotta dalla Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova mi ha permesso di lavorare con giovanissimi interpreti che hanno donato la loro professionalità ed entusiasmo realizzando un allestimento bellissimo. Sono di parte e quindi non aggiungo altro.


Attualmente a cosa sta lavorando?

- Sto rispolverando i copioni teatrali scritti negli ultimi trent’anni, in particolare di teatro ragazzi, per renderli disponibili alle nuove generazioni.
E in un cassetto della scrivania sto accumulando brevi racconti che nascono ispirati… da una fotografia!