Questa
la sintetica biografia fornitaci dalla poetessa quando le si chiese di
collaborare con noi in qualità di giurata per la Sezione Poesia alla XVIª edizione del nostro Premio
Letterario.
In
realtà, Lucia Guidorizzi è molto di più.
Ho
avuto modo di constatare, attraverso i suoi scritti, quanto effettivamente Lucia
sia una viandante, nella vita quanto nella scrittura. Ma non certo a
livello amatoriale. In effetti è una viandante alla continua ricerca di
percorsi di arricchimento, spirituali e culturali. Per meglio comprendere il
suo valore artistico, l’ho invitata a rispondere ad alcune domande.
-Sembra
quasi che il tuo essere veneziana, abitante di una città dove l’elemento acqua
prevale, ti abbia stillato dentro la voglia di compensare l’instabilità
dell’acqua con la stabilità della terra ferma, con dei camminamenti che vanno oltre
l’equilibrio galleggiante delle tue radici. Che ne pensi di questa mia
impressione?
Vivere in una città come Venezia
significa vivere sospesi tra due dimensioni che dialogano tra loro. La sua
collocazione particolarissima tra mare e laguna la rende una città di confine,
o meglio, la caratterizza come una soglia tra due mondi. Per questo motivo le
suggestioni legate all’acqua, simbolo dell’inconscio per eccellenza e la terra,
luogo di radicamento e memoria, creano una condizione privilegiata per
esprimersi poeticamente e simbolicamente.
-Dalla
lettura dei tuoi versi si comprende quanto questi siano frutto di un duplice
cammino. Ad esempio, in “Quanto dista Finisterre?”, tua recente raccolta
poetica dal titolo emblematico, si può comprendere come tale viaggio passi
anche attraverso approfonditi percorsi di studio. Il viaggio per te vuol dire
forse riuscire a mettere insieme l’anima dei luoghi con quella dei libri -
autori e miti - da te consumati quanto le tue scarpe?
Spesso le letture e le ricerche mi
conducono verso i luoghi e i luoghi verso le letture e le ricerche. Mi è sempre
piaciuto viaggiare in maniera duplice, attraverso lo studio di autori che
appartengono ai territori che percorro. Ad esempio, proprio in “Quanto dista
Finisterre?” c’è una sezione, intitolata “Trilogia gallega” che è un omaggio a
tre poeti galleghi, Ramon del Valle Inclàn, Rosalia de Castro e Lois Pereiro
che ho letto poco prima di partire e nel corso del mio cammino nell’estate del
2019 verso Santiago di Compostela lungo la “senda litoral” che si affaccia
sull’Oceano Atlantico. La loro poesia mi ha accompagnato lungo il cammino e
sono stati i miei numi tutelari e compagni di viaggio, i loro versi hanno
scandito il ritmo dei miei passi.
-Il
saper raccogliere esperienze strada facendo, è frutto di una eredità coltivata o
fa semplicemente parte della tua natura?
Ho sempre amato moltissimo viaggiare,
con il corpo e con lo spirito, per investigare luoghi, storie, vicende e
conoscere persone, ma negli anni si è intensificata sempre più la necessità di
percorrere a piedi lunghi tratti di strada, immersa nel paesaggio, per poter
meglio assaporare le suggestioni che mi vengono incontro per poi allontanarsi. Questo
modo di fare esperienza lo si potrebbe definire un “pensare rammemorante” da
cui emergono parole e immagini che poi divengono scrittura.
A casa ho sempre sentito parlare di
poesia. I miei genitori avevano un rapporto di grande complicità intellettuale
e lavoravano insieme a progetti letterari, scrivevano recensioni, tenevano corrispondenza
con molti poeti significativi del Novecento. Ho sempre trovato nella poesia il
mio modo privilegiato per esprimermi e questa eredità materna negli anni si è
fatta sempre più consistente. Rileggendo
ultimamente le sue poesie riconosco nella mia scrittura molte consonanze e
similitudini di cui non ero prima del tutto consapevole.
-Ci
sono altri autori che hanno segnato il tuo percorso?
Durante l’adolescenza ho letto e amato
Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud, ma anche Dino Campana, Emily Bronte e
Emily Dickinson, tutti autori che amo ancora moltissimo. In seguito mi sono
appassionata alla poesia di Fernando Pessoa.
-Oltre
allo studio del mito, che ritieni importante come occasione per ripensare la
contemporaneità, quali sono i temi a te più cari?
Uno dei temi che mi sono più cari è
quello del dialogo con i morti, in quanto
tutta la nostra esperienza esistenziale e poetica è debitrice delle letture di
opere di autori che ci hanno preceduti, lasciando tracce e testimonianze
indelebili che siamo in dovere di raccogliere e di trasmettere a nostra volta
alle generazioni future. Poesia è far
parlare i morti che ci abitano e risarcire gli antenati, restituendo loro la
parola.
Un altro tema che mi è caro è quello
dell’impermanenza. Prendere coscienza dell’essenza effimera delle cose, di come
in continuazione nascano e scompaiano. Soffermarsi sul senso illusorio che
permea ogni cosa, legato al perenne divenire dell’Universo, permette di avere
uno sguardo consapevole sull’esistenza.
Nelle mie ultime raccolte si è fatto
avanti anche il desiderio di diventare “forestiera”. Davanti alla perdita di
senso della contemporaneità, di fronte all’orrore dell’essere continuamente
esposti, monitorabili e catalogabili, addomesticati dall’informazione e dalle
statistiche, la mia forma di dissenso e di rivolta consiste nell’entrare
metaforicamente nella foresta, unico modo per mantenere intatto il proprio
nucleo profondo e vitale. Penso che la poesia debba sempre operare un
oltrepassamento, essere frutto di una ricerca assidua che porta a investigare
luoghi e circostanze, spingendosi sempre oltre. La poesia non dimentica mai la
ricerca, la curiosità, il desiderio e il superamento dei propri limiti. La
poesia deve educarci, nel senso letterale del termine, ovvero condurci fuori da
noi stessi.
Ho trovato in “Attraversando
i campi” - da Quanto dista Finisterre?- dei versi molto
significativi, adatti a comprendere, anche se solo in parte, la tua visione del
“viaggio”. Ne ripropongo alcuni, con la speranza che la sintesi sia
dimostrazione della tua intensità poetica
Solitari e ostinati
Imperterriti attraversiamo
Campi colline ponti crocicchi
Attraversiamo corpi
Lingue e linguaggi
E camminando cambiamo
Insieme ai paesaggi
Anche la parola
Camminando si trasforma
E con lei l’immagine del mondo
Attraverso parole passano segni
E segni inventano paesaggi
La lingua è il mio modo d’esistere
La abito camminando
Abitare le case della parola
Significa camminare in perenne dispatrio
Nell’ibrido impasto di suoni
Si percorre il corpo della Madre
Ci si avvicina al mistero dell’essere
Giungere a quel limite estremo
Che è la lingua materna
Dimensione mitica e leggendaria
Dell’Origine
Narrazione ininterrotta
È dimensione orale del racconto…
-Nella
tua scrittura poetica fai volentieri a meno della punteggiatura, come se tu
volessi esprimere un bisogno di pulizia ed essenzialità. La tua è una soluzione
adottata da sempre?
Ho imparato un po’ alla volta ad
alleggerire i testi, togliendo gran parte della punteggiatura e molti articoli
determinativi e indeterminativi. Cerco anche di evitare le similitudini e tento
di limitare l’uso degli aggettivi, anche se mi piacciono. In realtà, quando si
scrive c’è molta zavorra che va eliminata. Sfrondare è importante perché così,
un po’ alla volta, emerge l’essenza, il nucleo stesso della poesia.
-Ti va di condividere qui una
poesia a cui tieni molto e a confidarcene il motivo?
Volentieri! E’ sempre difficile scegliere una poesia
tra le varie che si sono scritte, perché ognuna è legata a momenti, emozioni e
sensazioni diverse e particolari che diventano pietre miliari del proprio cammino
esistenziale. Tra le tante, scelgo questa, che mi è particolarmente cara,
perché mi sembra indichi una sorta di percorso spirituale, tra cadute,
smarrimenti e assenze, verso una dimensione del profondo.
NADA
E dopo tutti i nostri
incontri
Di nuovo devo abituarmi
Alla tua assenza
Quanta distanza c'è
nell'amore
E quanto amore c'è nella
distanza
Il discrimine è questa lama
gentile
Che mi obbliga a spargere
sangue
Che mi costringe
cortesemente alla resa
Per non scalfire la santità
del giorno
E dopo tutto questo
frastuono
Mi ritrovo ancora ad ardere
Imprigionata in questa
fiamma
Tenera e viva e sola
Lima la mia protervia
protesa
Scheggia la pietra dura del
cuore
Estrai la creatura
palpitante
Impara il silenzio
Da “Quadrilunio” Editoria Universitaria
2009
-Quali
saranno i tuoi prossimi passi, hai già in mente un nuovo itinerario, culturale?
Sto lavorando a un progetto in cui creo
una sorta di dialogo oltre il tempo e lo spazio, tra la poesia di mia madre e
la mia. Non è solo un lavoro autobiografico, ma un tentativo di investigare le
radici del linguaggio, per risalire alle sorgenti stesse della poesia.
grazie di questa bellissima opportunità di riflettere sulle tappe della mia scrittura: un modo per investigare il mistero della scrittura.
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