venerdì 25 novembre 2022

Le buone letture - LA VARIABILE UMANA di Elisabetta Stragapede


Qual è per Elisabetta Stragapede, autrice della nuova raccolta poetica “La variabile umana”, il  vero limite dell’uomo, e quali sono le aspettative riposte nelle sue capacità creative?

Facendo riferimento alla teoria di Charles Darwin, secondo il quale “solo coloro che sono più adatti al cambiamento sopravvivono”, c’è da chiedersi se l’essere umano, responsabile come sappiamo del mutamento di ogni ecosistema presente sul Pianeta, giunto a questo punto sia davvero in grado di invertire i suoi comportamenti e di recuperare un rapporto di equilibrio con l’ambiente.

Non è affatto scontato che la specie umana riesca nell’impresa, sussistono tuttavia delle possibilità. Possibilità che l’autrice non esclude e che intravede, al di là del pessimismo che a prima istanza potrebbe trapelare da una lettura superficiale. Ma è già insita nel titolo la cifra della scommessa, l’incognita che potrebbe segnare una svolta, l’occasione determinante per il futuro dell’umanità e che l’autrice accudisce con ponderata speranza.

Vista la premessa, Elisabetta Stragapede punta a servire l’urgenza del messaggio maturato in sé con l’esclusione di ogni preambolo. Adotta una scrittura posata e schietta, rispondente alla sacralità dei temi trattati, per folgorare il lettore in maniera inevitabile sin dalla prima lirica.

Forse con l’intento di alleggerire il percorso di lettura, l’autrice pensa bene di suddividerlo in tappe e, prendendo spunto da un gioco che ha il merito di coinvolgere adulti e bambini di ogni spazio e tempo, ne adotta titoli e sequenze. La raccolta risulterà divisa in: Nomi, Cose, Città, Mestieri, Parole. Un’idea simpatica che in qualche modo fa pensare a uno spazio di tempo magico da ritrovare, a un’area di cuscinetto utile a contenere le pressioni quotidiane; cinque sezioni proposte come tappe prestabilite di un viaggio condensato ma di certo non rinviabile, e che il lettore si presta a compiere animato da un’urgenza condivisa con l’autrice.

L’adozione di simboli e metafore all’interno di una forma priva di orpelli, stilema inconfondibile dell’autrice, fa sì che il messaggio non sia frainteso. Un aspetto confermato dalla cura riposta nella ricerca dei termini e degli accostamenti, mai improbabili. Il messaggio poetico, in tal modo, risulta estraneo alla ricerca dei facili consensi. Assume, invece, valenza di richiamo, una eco lanciata per i mari della Poesia allo scopo di raccogliere coesioni.

Occorre prendere atto della distanza presa dal cerchio della vita. Un’uscita determinata dalle scelte sinora adottate dall’uomo, il quale, pur consapevole della deriva, stenta ad uscire dalla spirale del consumismo, dalla trappola della globalizzazione “Non ci abitiamo mai completamente”, per finire con l’assumere volontariamente il ruolo di spettatore impotente “raramente siamo casa e bottega” (pag. 33).

Nella raccolta è raffigurato l’essere umano, sotto tutti i suoi aspetti. E con gli ultimi, l’autrice non manca di rappresentare l’uomo che, incapace di tenere il passo con l’evoluzione civile dei tempi, implode riversando sul debole la sua inadeguatezza. La sua è una mano invisibile, eppure presente, come una maledizione. L’autrice la colloca dietro le quinte, come proiezione di paure ancestrali, nel ruolo di regista o di complice “// e una figlia scompare / senza più nome / colore / ragione.” (pag. 37), restituisce così l‘idea di una volontà capace di estorcere in qualche modo la dignità, la libertà, la vita “// la ragazza / sta / sulla strada // richiama lupommini / fuori di grazia. //” (pag. 48).

Il dialogo con il lettore, visto come ipotetico alleato per il ricomponimento del cerchio della vita, è messo sin da subito alla prova. In “Anonimo”, la poesia di apertura, è contenuta una forte provocazione. Non a caso si è indotti a chiedersi chi sia il vero destinatario del messaggio. L’istinto invita subito a prendere le distanze da quel “troglodita del terzo millennio” e a pensare che l’apostrofe sia rivolta ad altri, probabilmente a una specie umana a parte. Ma è lì, in quell’incipit, che l’autrice mette subito le cose in chiaro: il suo è un avvertimento indirizzato all’intera umanità, nessuno escluso. Il messaggio potente e senza filtri è la chiave di lettura. Costringe a guardarsi allo specchio e a riconoscere nell’altro le proprie contraddizioni. La provocazione serve a sollevare una reazione, esorta a fare la differenza, affinché ci siano le condizioni per veder potenziata quella “Variabile umana” in cui l’autrice crede fortemente.

La progressione dei temi trattati, il loro ordine conseguenziale e l’autenticità del sentimento empatico espresso, consentono al lettore una graduale immersione. Pagina dopo pagina, egli si sentirà sempre più coinvolto emotivamente.

Ripensarsi umani per ristabilire il rapporto con l’ambiente, significa dapprima ripensarsi amico dell’altro, intimo dello sconosciuto e al posto del diverso. Il ritorno all’empatia, come riacquisizione di una dote, sarebbe solo un primo passo verso il futuro. L’autrice semplifica il concetto portando in esempio l’esperienza percorsa. L’occasione è data dalla casualità di un incontro. Dalla magia dello sguardo che, incrociandosi con l’altro, determina uno scambio dei ruoli “I miei occhi glauchi / e i tuoi terrei / ogni mattina s’incontrano. // Poi tutt’è due ci svestiamo / e ci scambiamo le vite”. Potere della Poesia che nell’immedesimazione diviene portatrice sana di empatia. Non è da escludere a questo punto che il lettore si immagini al fianco dell’autrice a rafforzare il gesto umano di carità “// io resto ferma / davanti alla chiesa / con la palma rivolta” (pag. 38).

In “Qualcosa si è rappreso” (pag. 51) s’insinua con tenacia l’idea d’uno spiraglio, nonostante l’evidente frattura tra essere e avere, tra materialità e sentimento, “// fra il tronco del mandorlo / e l’anima della cicala //. L’equilibrio non prescinde dal compromesso, è “// un canto secco / di scorze in gola //”, ma pur sempre ipotizzabile attraverso il ritorno alla terra e ai suoi antichi precetti “// roncola alla cintura / e polloni sacrificati //”. Sono versi rappresentativi di un orizzonte perduto, verso il quale convergere per un’adesione totale con l’intento poetico dell’autrice.

Restano tuttavia impressi i fotogrammi di una realtà alla quale il poeta si ribella “eppure / ci dev’essere un modo / un reagente che aggrappi //” (pag. 61). Eppure, la Poesia permane, ci parla e ci tocca, a dimostrazione di come Elisabetta Stragapede sia riuscita a renderla un ottimo reagente.

Assunta Spedicato.


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