mercoledì 21 luglio 2021

Intervista a GIUSEPPE VECCHI, vincitore per la Poesia Inedita al XVI° Premio Letterario Internazionale NCC

LINK per la lettura della Poesia Prima classificata, delle motivazioni e della biografia dell'Autore.


A volte, quando si è presi in un’orbita
che ti trascina intorno al mondo,
si rischia di ubriacarsi,
presi dall’ebbrezza della velocità.


Prendendo spunto dal testo premiato (IL CENTRO DELL'UNIVERSO, che si può leggere seguendo il LINK in alto a sinistra), ho formulato delle domande che ci consentiranno di approfondire la conoscenza di questo autore

- Giuseppe Vecchi, ci dica del suo Universo dal Big Bang alla forza di gravità delle sue stelle (formazione e punti di riferimento).
 
L’Universo che vive la poesia è in parte diverso da quello reale che ci circonda. Astronomi e poeti non scrutano il cielo con gli stessi occhi, perché è diversa la disposizione delle loro anime. Ciò che li accomuna sono lo stesso stupore e la stessa curiosità, la stessa ansia di trovare risposte. L’astronomia si serve, nella sua ricerca, di strumenti che il poeta non ha a disposizione, ma il poeta ha, di contro, il vantaggio di saper vedere con l’immaginazione, di possedere una sensibilità che gli permette di aprire porte che, legate da rapporti analogici, possono intuire verità altrimenti inconoscibili. Nella mia raccolta poetica “De Rerum” del 2015, in cui ho unito il mio amore per la poesia alla mia passione per le scienze della Terra, ho parlato dell’Universo (un intero capitolo dedicato), del Big Bang, della gravità e delle stelle. Penso perciò che per rispondere alla domanda la cosa migliore sia riportare quattro poesie, relative agli argomenti citati, contenute nella raccolta.
 
dell’universo
 
Il silenzio dell’universo
non è quello che ascoltano
lassù, distratti dal metallo
e dal chiacchiericcio terrestre.
Occorrono particolari antenne
per ascoltarlo,
ectoplasmi di gomma
costruiti apposta
essere come i pipistrelli
che evitano gli ostacoli
senza mai vederli.
 
 
del big bang
 
La guerra ed il fuoco
in un luogo casuale?
E dove gli eserciti,
quali piani i generali
idearono per così immane conflitto?
 
Le trombe squillavano
intorno, ma dove il dissidio
se tutto sorse in un punto?
 
Testimoni non sopravvissero
ma gli scribi lasciarono appunti
il vuoto raccolse
i fluttuanti resti dei morti
e l’eco della battaglia
ancora s’incide nel cielo.
 
 
del firmamento
 
Animale notturno
apre ali di pipistrello
l’ombrello
che trattiene le stelle.
 
Lontano come un ricordo
sipario impalpabile
dove anche gli dei
sono mute comparse.
 
 
della forza di gravità
 
Un reverente omaggio
un levare in alto
le mani dell’anima.
 
A chi imputare le catene
i legacci dei polsi
l’erpice del cuore?
 
L’argilla è povera
ma è la sola che stringi
nel preludio gentile
al vastissimo mondo interiore.
 
La più evanescente,
la forza che impregna le cose
non appare
occorre scovarla
in mezzo al silenzio.
 

- E la paleontologia, cos'e per lei, un satellite, un'astronave o un secondo pianeta?
 
La paleontologia è stata una delle mie prime passioni (contemporanea alla poesia), ma di cui ho iniziato a pubblicare vent’anni prima. Di lei ho amato anzitutto l’aspetto naturalistico che mi portava a ricercare tra calanchi e alvei di torrenti; ma anche se lo studio dei reperti, con la sua razionalità esasperata che ti porta a contare al microscopio i filetti del nucleo embrionale delle conchiglie (protoconca) era molto lontano dal mondo della poesia, quest’ultimo lo ritrovavo immancabilmente sugli affioramenti, dove l’insieme dei reperti fossili ritrovati spingeva la mente a immaginare gli antichi fondali marini, abitati da tutte quelle fantastiche creature. In questo senso la paleontologia si potrebbe paragonare a un’astronave che ti permette di raggiungere quel pianeta lontano milioni di anni che ha fatto parte del divenire della Terra.


- Ci sono altre passioni che ruotano sulla sua stessa orbita?
 
A volte, quando si è presi in un’orbita che ti trascina intorno al mondo, si rischia di ubriacarsi, presi dall’ebbrezza della velocità. Ho così scoperto, recentemente, la passione per il teatro. In realtà ho sempre amato il teatro, ma non avevo mai scritto testi di quel genere. Sicuramente li portavo già dentro di me, perché ogni cosa che si scrive è perché già la possediamo e viviamo. Così ho scritto un testo: “Ifigenia”, grazie al quale ho vissuto la bellissima esperienza di collaborare con una Compagnia teatrale (La Luigi Rasi di Ravenna). Il testo (rappresentato due volte dalla Compagnia) è stato pubblicato nella collana “I quaderni” delle edizioni ABao AQu. Ho poi scritto altri testi, tra cui tre in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante. Uno di questi: “Matelda” doveva essere messo in scena dalla Compagnia Rasi, ma causa Covid la cosa non si è ancora potuta realizzare. Il testo verrà comunque pubblicato, in quanto la Compagnia ha potuto usufruire di un finanziamento all’interno delle iniziative per l’anniversario dantesco.
  

- Se una delle sue poesie fosse un messaggio alieno, verso quale spazio temporale, passato presente o futuro, lo vedrebbe maggiormente orientato?
 
Ogni poesia è sempre un messaggio alieno, in quanto il mondo poetico proviene sempre da uno spazio che percorre sentieri diversi da quelli che siamo abituati a percorrere ogni giorno. Per questo lo vedo orientato verso il presente, perché è in quella dimensione che soprattutto vive, ma con una proiezione verso il futuro, quando magari sarà più conosciuto e compreso. Il passato comunque è presente in esso, perché senza passato, senza la lezione dei poeti di ieri, nessun oggi (e nessun domani) sarebbe possibile.
 

- Se avesse la facoltà di muoversi a piacimento avanti e indietro nel tempo, con quali personaggi del mondo della cultura, dell’arte o della storia andrebbe a confrontarsi, e perché?
 
Troppi sarebbero i personaggi del passato che vorrei incontrare e con cui vorrei fermarmi a dialogare. Solo farne l’elenco sarebbe una fatica immane. Mi limiterò pertanto a indicarne due, uno coniugato al maschile e uno al femminile, e ciò non per una questione puramente formale, ma perché essi (poeti entrambi) sono effettivamente quelli la cui dimensione spirituale sento più vicina al mio essere, e per i quali maggiore sarebbe l’emozione di un fantastico incontro.
Il primo è Giacomo Leopardi, mio maestro e amico, la voce con cui più di ogni altra mi sento in sintonia, e che più mi ha insegnato ad amare la Vita e la Natura. Non so cosa gli direi, probabilmente mi limiterei a versare lacrime sul suo nome, e attenderei un suo sorriso per poi aprirgli il mio cuore. Quando, la sera della premiazione a Marigliano, nel mio intervento parlai di “Centro fluttuante dell’Universo” non realizzai (lo feci poco dopo) che se un centro, nel vasto mondo della poesia esiste, questo deve essere quello in cui il più sublime messaggio poetico sia mai stato lanciato al mondo, e quindi (a mio avviso) quel centro non può essere altro che il Colle dell’Infinito. Gli chiederei allora di parlarmi di quella “profondissima quiete” e dolce mi sarebbe il naufragare nel mare delle sue parole. Chissà… forse allora intenderò il senso delle cose, del tutto, pur nella consapevolezza dell’”Infinita vanità del tutto”. O forse… chissà, se l’avrà nel frattempo trovato, sarà lui ad indicarmi il senso.
Con Emily Dikinson cercherei invece di indagare sul suo mondo sempre alla ricerca di un Dio così spesso legato alla parola “forse”, e alla sua capacità meravigliosa di scavare dentro i sentimenti dell’animo umano.
Non a caso, in uno dei testi teatrali che ho scritto in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante, il sommo poeta, in un suo viaggio immaginato a ritroso attraverso i regni dell’Oltre, incontrerà entrambi i poeti: Leopardi che sosta sulla Luna, perché ad essa intimamente legato anche nel dopo; Emily che gioca a scacchi (come il cavaliere del settimo sigillo di Bergman) con la morte (Thanatos), figura su cui tanto ha indagato in Terra, da restargli legata anche nel Dopo.
 

- Se fosse in procinto di partire alla ricerca di un nuovo pianeta e se i sentimenti umani fossero delle piante da innestare per una continuità, potendone scegliere solo una specie, quale porterebbe con sé?
 
Sul pianeta immaginario credo che porterei con me la semente (ma ve n’è bisogno?) per far germogliare la pianta dell’Amore. Perché è l’Amore quella forza invincibile che conduce il mondo per mano e lo porta sempre oltre, nel tempo e nello spazio. Come diceva Bob Dylan: “L’amore è tutto, qualsiasi cosa ne diciate”.


- Ha già previsto il lancio di un suo nuovo lavoro?
 
Oltre alla speranza di poter un giorno pubblicare una nuova silloge poetica, sto attualmente scrivendo un testo per ragazzi (a mio avviso leggibile anche dagli adulti). Qualcosa che sta un po’ a cavallo tra “I viaggi di Gulliver” e “Il piccolo principe”. Spero di aver fortuna anche in questo, trovando qualcuno a cui piaccia e perciò disposto a pubblicarlo.



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