sabato 11 novembre 2023

Le Antologie di Transiti Poetici: VOLUME XLII




Introduzione

In un mondo sempre più lacerato e dilaniato da conflitti crudelissimi in varie parti del globo ma prevalentemente concentrati nell’Europa dell’Est e nel Medio Oriente; in un mondo dove, parallelamente, il pensiero e il comportamento di ognuno di noi è continuamente e fortemente condizionato da modelli omologanti e da nuovi valori che si contrappongono nettamente a quelli sacri e fondamentali di una volta; in un mondo in cui, per necessità, si è portati a curare il necessario per sé stessi e non per gli altri, ingigantendo egoismi, nazionalismi, diffidenze e odii razziali; in un mondo dove tutto sembra un film da guardare tranquillamente mentre si pranza o si cena, e le scene più macabre e orribili, come le uccisioni di bambini e le violenze sulle donne, scorrono davanti ai nostri occhi nella più grande indifferenza; in un mondo che viaggia, forse, verso il baratro della propria imminente estinzione: l’arte, e tra queste la poesia, che ruolo, che significato, che utilità può avere? Domanda da cento milioni, e forse, anzi sicuramente, superflua, retorica.

La verità è che da quando esiste l’uomo su questa terra, le civiltà che questo essere ha creato hanno sempre avuto vita più o meno breve, beninteso nel calendario infinitamente lungo della creazione. Civiltà che sono nate, si sono sviluppate e poi sono scomparse, in tutti gli angoli del mondo, dall’India alla Mesopotamia, dall’Egitto ai Greci, ai Romani, e dai Maja agli Aztechi e agli Inca. Corsi e ricorsi storici, diceva bene Giambattista Vico.

E naturalmente ognuna di queste civiltà ha tessuto in sé e su di sé l’abito meraviglioso dell’arte, e nelle più recenti anche la poesia, la musica, la pittura, la scultura, il teatro. Riferendoci più propriamente alla poesia, direi che ogni epoca, ogni civiltà ha avuto i suoi grandi poeti e la sua grande poesia. Poesia che sicuramente rifletteva i valori, le idee, i costumi, la vita di quei tempi, di quelle civiltà.

Ma oggi? Possiamo dire che anche oggigiorno la poesia, in generale, sia lo “specchio dei tempi”? Direi di sì, perché inevitabilmente l’arte, e quindi la poesia, raccoglie e interpreta continuamente i messaggi provenienti dalla realtà, li utilizza per indicare e magari anche denunciare lo stato delle cose, cercando in ogni modo di costruire una nuova etica, o magari di ricostruire una sorta di civiltà perduta: così si fa avanti la poesia civile, la poesia sulle tematiche della pace, della violenza sulle donne, ma anche quella del disappunto e della perdita di un senso dell’esistenza in un mondo caotico e frastornato dove l’io è ormai ridotto a soggetto quasi inesistente.

Ma il ruolo della poesia rimane indispensabilmente quello di aprire porte dentro l’umanità e vederci chiaro, o almeno tentare di vedere, con coraggio e ostinazione, la verità della propria natura essenziale.

Non so se gli undici autori (stavolta sono 11) di questo volume la pensano nello stesso modo. Di sicuro la loro poesia non è artificio ma sincero e importante contributo alla cultura letteraria attuale: ce n’è ancora grande bisogno, perché non si perda definitivamente il desiderio e la forza di mettere a frutto la propria creatività, perché non degradi ancora di più nella mera materialità questa nostra martoriata umanità. Li ringrazio di cuore per questa luce di speranza e di amore che hanno voluto accendere nelle nostre buie stanze.

Giuseppe Vetromile


ASSUNTA SPEDICATO



La poesia di Assunta Spedicato, autrice di notevole spessore, nativa di Bisceglie, si mostra robusta nella sua architettura, radiosa e lirica, a tratti romantica, nei contenuti, laddove principalmente riflette su agognate aperture verso orizzonti celesti, metafora di limpidezza e autenticità del senso dell’esistenza. Non è un estraniarsi dalla realtà quotidiana, soffocata da problemi esistenziali ed economici che ne minano l’impeto vitale, è piuttosto un canto d’amore che libera il proprio cuore, e quello del lettore, suggerendo possibilità di innalzarsi dai detriti ancora in caldo di questa nostra martoriata società. Questo desiderio di elevarsi, recuperando il dono della particella, è comunque maggiormente sublime se condiviso in granelli d’amore con chi ci è accanto.


Granelli d’amore (per Alberto)

Ho atteso che la notte mi srotolasse
per scortare parole d’oltre cielo
e sentire drenata la mia ombra
al soffice librare di una stella

tra i buchi neri del sonno rarefatto
immaginavo malcapitate traiettorie
svanire risucchiate coi detriti ancora in caldo
poi bruciare, e alimentare la luce d’altri giorni

potessi staccarmi dalle ossa
recuperare il dono della particella
e fluttuare a riscrivere nel sangue
il gene di piastrine in espansione

sapessi levitare con le maree
a premiare il sacrificio della luna
e guadagnare il perdono dei pianeti,
il canto unitario delle costellazioni

e se a desiderare con lo sguardo
ci fossi tu dall’altra parte
darei scrittura nella notte
all’improvvisazione di una scia

e non sarebbe vago il senso
di questo nostro umano frantumare
notti e giorni, rocce intere
in granelli d’amore nell’oblio del deserto.

***

Convivenze

C’è un segno di resa
nelle cose rotte che non si vanno ad aggiustare
e si lasciano andare, con l’attitudine a guardarle
come se ci si specchiasse
con riflesso affezionato, inclini ad accettarsi
così come si resta, usati ed abusati
come se nel riconoscersi fosse insita la via,
il mezzo a spartire un raggio di clemenza.

Forse sarà umana l’idea di riciclarsi
l’ingegno a concepirsi altro. Va detto
che non è facile sul tardi,
quando le pieghe sulla pelle son scavate,
pensare di rimediare al meglio
gettando via gli schemi.

Se pure fossi io traguardo di alterna prospettiva
per prima dovrei pensare a far pronte anime e persone
abituarle, somministrando congedi graduali
perché c’è un vizio di possesso, persino nel più caro
che attenta la pazienza e la reclama all’infinito
e non ammette gli si cambino i rapporti
anche quando sono rotti
e non c’è verso di aggiustarli.

***

Noi lacrime del mondo

Nacqui lacrima, in un atto d’amore
del cielo verso il mare,
sul letto sfatto dal vento
tra le ombre che travagliavano la notte
e un rigurgito di luce, per nutrire
la speranza col taglio d’un giorno nuovo.

Crebbi densa, col talento delle nuvole
dimorando tra sorelle, nell’aria delle vette
incurante della sete di pianura
che pian piano vestiva di deserto
l’anima dei luoghi e della gente
venuta meno alle grazie del cielo.

Fui lacrima, e poi subito riflesso
prodiga nel togliere luce al senso
nel trascurare d’istruire trasparenze.
Fui rio corrotto nel gorgo d’una smania
dalla foce ingrata e le onde intinte nella rabbia
a indurre il mare contro il cielo.

Nacqui lacrima in una notte chiara, di sogni cadenti
e mentre il buio mi reinventava desiderio, evaporai
ogni ambizione, per incoscienza dei miei occhi
troppo piccoli per contenere il mare, così impauriti
da non reggere l’infinito, e perdersi
come un detrito nello sguardo del tempo.

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